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UNA OPINIONE DA TEL AVIV

UNA OPINIONE DA TEL AVIV

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Se aspettiamo la fine della guerra per cacciare Netanyahu, la guerra non finirà mai.

Di Uri Misgav – 9 novembre 2023

https://www.haaretz.com/opinion/2023-11-09/ty-article-opinion/.premium/what-was-netanyahu-doing-on-the-anniversary-of-the-hamas-attack/0000018b-b066-dea2-a9bf-f0fec05e0000?utm_source=mailchimp&utm_medium=email&utm_content=author-alert&utm_campaign=Uri%20Misgav&utm_term=20231109-03:50

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Noi siamo troppo educati, troppo disciplinati.

I narcisisti paranoici come Netanyahu, determinati a scaricare la responsabilità del disastro nazionale, non si dimetteranno.

Se per questo aspettiamo “il giorno dopo” la fine della guerra, questo giorno non arriverà mai.

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Che cosa avete fatto questo martedì, un mese dopo il terribile disastro che abbiamo vissuto?

So cosa abbiamo fatto io e la mia famiglia durante questo giorno.

Eravamo tutti molto tristi.

Gli israeliani normali sono mobilitati, servono, fanno volontariato, donano, piangono, soffrono, hanno difficoltà a dormire la notte.

Siamo in un incubo.

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Ora voglio dirvi cosa ha fatto il Primo Ministro Benjamin Netanyahu quel giorno.

Si è svegliato come al solito nella lussuosa casa del suo amico, il magnate Simon Falic, ed è uscito per andare al lavoro poco prima di mezzogiorno.

Alla base di Tze’elim, nel sud di Israele, è stata organizzata per lui una visita al centro di addestramento alla guerriglia urbana, che simula un’area edificata (Gaza).

Le esercitazioni presso la struttura sono state interrotte ai fini della visita.

Soldati e soldatesse sono stati mandati a ripulire l’area in suo onore.

Le guardie del corpo dello Shin Bet sono state rinforzate da combattenti dell’unità d’élite del commando Sayeret Matkal, per garantire la sicurezza periferica della struttura (all’interno di una base militare!).

I soldati di altre unità hanno fatto una dimostrazione per lui.

Tutto questo mentre è in corso una guerra.

Nella foto del titolo è in piedi sorridente, con le mani sui fianchi, circondato da soldati mascherati (le armi scariche).

Chi può essere capace di sorridere e posare il trentesimo giorno dopo il terribile massacro e disastro che ha devastato il suo popolo e il suo paese?

Solo qualcuno che non è in grado di assumersi alcuna responsabilità per quanto accaduto.

Una persona che non ha spazio per emozioni come l’empatia, la vergogna, il senso di colpa, la solidarietà, un destino condiviso.

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Quella stessa sera Netanyahu si è reso conto che i canali televisivi stavano trasmettendo le cerimonie di lutto e commemorazione in prima serata.

Ecco perché si è affrettato ad annunciare che avrebbe fatto una “dichiarazione speciale”.

I media si sono messi in riga e hanno smesso di mandare in onda le cerimonie.

Nel suo discorso vuoto Netanyahu non ha ritenuto opportuno dedicare una sola parola alle 1.400 vittime e per quanto lo riguarda, non ci deve essere niente che lo colleghi a loro.

Naturalmente non ci sono state domande: Netanyahu risponde solo ai giornalisti statunitensi.

E questo potrebbe non essere una grande perdita.

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La settimana scorsa, durante la prima occasione dopo anni per i giornalisti israeliani che non sono di Channel 14 (NdR: canale televisivo israeliano destinato ad un pubblico di destra, in particolare ai sostenitori di Netanyahu) di fargli domande, abbiamo visto la prova del livello di docilità e autocensura.

Ai presenti in sala sono state date sette opportunità, e nessuno di loro si è alzato e ha posto l’unica domanda rilevante: perché non si dimette, e quando intende dimettersi?

Ma quando capirete?

Non se ne andrà a meno che non lo costringiamo ad andare.

I narcisisti non si dimettono, soprattutto se sono anche paranoici, convinti che tutto faccia parte di un grande complotto che è stato architettato contro di loro.

Netanyahu è determinato a scaricare la responsabilità della disfatta sui generali e la colpa del disastro sul movimento di protesta.

I suoi compari si sono mobilitati per questo, la macchina sta lavorando in quinta marcia.

Questa settimana hanno iniziato a chiamare gli eventi del 7 ottobre il “massacro di Kaplan” (dal nome della strada di Tel Aviv dove si è concentrato il movimento di protesta).

Manifestanti si radunano sabato contro il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu vicino alla sua residenza a Gerusalemme.

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Chiunque immagini una possibile ripetizione dello scenario di Menachem Begin (che si era dimesso dicendo: “Non ne posso più!”) vive nella terra del Cù-Cù.

La verità è che viviamo tutti nella terra del Cù-Cù e pure di fianco ad un amplificatore.

Se aspettiamo la fine della guerra per cacciarlo, la guerra non finirà mai.

Se aspettiamo le elezioni, esse avranno luogo nel momento stabilito: tra tre anni.

Al momento non c’è opposizione al suo governo.

La sua situazione in quell’arena è miracolosamente stabilizzata.

Benny Gantz (NdR: ex-capo di stato maggiore delle Forze armate israeliane, responsabile dei bombardamenti su Gaza del 2021 e nominato Ministro da Netanyahu dopo il 7 ottobe)  è intervenuto ancora una volta per stabilizzare ed espandere la coalizione per lui.

Yair Lapid (NdR: politico più o meno centrista israeliano che passa indifferentemente ad appoggiare gli uni o gli altri a seconda di come percepisce l’aria che tira, alleato di Bennet nel precedente governo israeliano) e il suo partito esitano.

Agli arabi non è permesso parlare.

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Se durante il mandato del “governo del cambiamento” guidato da Naftali Bennett (NdR: ricco imprenditore informatico ed ex-Primo Ministro nazional-conservatore, noto soprattutto per i suoi legami internazionali e per avere comandato da giovane numerose incursioni nel Libano meridionale: incursioni che terminavano regolarmente con il suo reparto circondato da Hezbollah, l’aviazione che bombardava a tappeto, gli Israeliani che scappavano sotto il suo comando ed i Libanesi che facevano il conto dei civili che ci erano rimasti), Hamas avesse invaso Gush Etzion (NdR: villaggio agricolo ebraico costruiti nel 1943 ad ovest di Betlemme e rifondato come colonia dopo il 1967; nel maggio 1948 è rimasto isolato, gli abitanti ebrei si sono arresisi e sono stati massacrati… Il ricordo fa parte della memoria collettiva israeliana e gli eventi del 7 ottobre sono stati collegati ad esso), ucciso 1.400 coloni e soldati e rapito 241 persone a Nablus, il paese sarebbe stato in fiamme.

Letteralmente, non su Facebook.

Bennett e Lapid non avrebbero potuto lasciare le loro case, certamente non per farsi fotografare con i soldati a fare da sfondo e blaterare di una “grande vittoria”.

Manifestazione pro-Palestina a Nuova York.

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Siamo troppo educati, troppo gentili, troppo disciplinati.

Il sangue degli assassinati e la sorte degli ostaggi gridano a noi dalla terra.

Se aspettiamo il giorno dopo, non arriverà mai.

Non dite che il giorno verrà, portate avanti il giorno.

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