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RICORDIAMO IL SERGENTE NELLA NEVE
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La “Spettabile Reggenza dei Sette Comuni” dell’altopiano di Asiago è stata una federazione, analoga e coeva a quella elvetica, di liberi Comuni ed è durata dal XIII secolo fino all’inizio del XIX. In origine la lingua ivi parlata non era il dialetto veneto, ma un dialetto tedesco noto come “cimbro” ora praticamente scomparso.
Spontanea alleata da sempre alla Serenissima Repubblica di Venezia ne ha seguito la sorte dopo il trattato di Campoformio, ma solo dopo dieci anni di completa indipendenza e per ordine esplicito di Napoleone che poteva tollerare piccoli stati autonomi all’interno del suo impero solo se affidati a suoi familiari o se talmente piccoli da essere irrilevanti e comunque fedelissimi, vedasi la Repubblica di San Marino; i montanari adusi ad essere di fatto autonomi ed indipendenti da oltre cinque secoli evidentemente non potevano esserlo considerati abbastanza. Anche perché la milizia della Reggenza, vero e proprio esercito di leva che più volte aveva legnato quelli “professionali”, non scherzava proprio per niente ed era stata capace di tenere testa agli Asburgo per secoli.
“Essendo questi popoli ferocissimi, nati ed allevati nel freddo e nel caldo e in continue fatiche e sudori, e fatti molto robusti et bellicosi et naturalmente inclinati alle guerre… parono più atti ad ogni atione e per la disposicione dell’aria ivi più d’ogni altro luogo di quelle montagne di maggior bontà, che perciò rende gli uomini più abili et disposti alla milizia nella quale hanno fatto e fanno tuttavia grandissima riuscita”. Così scriveva soddisfatto alla fine del XVI secolo il Provveditore (oggi si direbbe ambasciatore) veneto nei Sette Comuni.
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Ben poco rimane dei monumenti di questa Reggenza e quanto viene mostrato ora è frutto di ricostruzione recente dal momento che Asiago è stata completamente distrutta durante la Grande Guerra nel corso della “Spedizione Punitiva – Strafexpedition” dell’imperial-regio generale Conrad von Hötzendorf, noto per non essere propriamente stato, alla pari con il suo amico Cadorna sull’Isonzo e a Caporetto, Crasso a Carre, Lamarmora a Custoza e Westmoreland in Vietnam, quello che si suole definire un genio militare.
In compenso costui era stato un perfetto macellaio di scioperanti nel 1902 a Trieste quando durante una pacifica manifestazione per rivendicazioni salariali in Piazza della Borsa diede ordine ai suoi soldati di caricare la folla a baionettate e di sparare ad altezza d’uomo: si contarono quattordici morti ed oltre duecento feriti, tutti tra i manifestanti.
Solo il ricordo della Reggenza dei Sette Comuni rimane al giorno d’oggi ed è molto vivo non solo ad Asiago, sia perché la odierna Comunità Montana ha voluto denominarsi con gli stessi identici termini, sia perché uno dei discendenti dell’ultimo Cancelliere, Angelo Rigoni Stern, si chiamava Mario Rigoni Stern ed è meglio noto come “il sergente nella neve”, uno dei più importanti scrittori antimilitaristi insieme a tanti altri da non dimenticare quali Emilio Lussu, Carlo Cassola, Erich Remarque, Ernest Hemingway, Carlo Emilio Gadda, etc.
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Il primo novembre è ricorso il centesimo anniversario della nascita di Mario Rigoni Stern e con queste poche righe desideriamo commemorarlo raccontando alcuni episodi poco noti della sua esperienza in questo mondo che rischiano di essere rimossi nel clima di agiografie fantasiose che il sistema mediatico dominante tende a costruire per sostituirle alla vera storia delle persone.
Queste agiografie, se non vagliate con gli strumenti della Ragione, comportano il rischio di trasformare ad icona mediatica ogni singolo individuo rappresentativo e quindi di travisare quanto realmente sia stato ed abbia rappresentato, di quale sia stata la sua evoluzione nel tempo e, in breve, di quanto sia stata ispirata la sua opera in questo mondo.
Si ritiene sia necessario evitare di cadere nel fenomeno, ben noto e desiderato da coloro che di queste persone non sono stati amici e compagni, sintetizzato dal vecchio detto: “abbiamo seppellito il tuo corpo sotto due metri di terra e la tua opera e le tue idee sotto una montagna di retorica.
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Mario Rigoni Stern si era arruolato volontario negli Alpini a 17 anni ed aveva partecipato alle campagne contro la Francia, la Grecia e l’Unione Sovietica con entusiasmo al punto che ancora nel maggio del 1942 scriveva alla sua parrocchia: “Non vi è stata una guerra più giusta di questa contro la Russia sovietica: sì, questa guerra che facciamo è come una crociata santa e sono contento di parteciparvi, anzi fortunato”…
Due sono i periodi di partecipazione alla Campagna di Russia del nostro sergente, una prima volta nel gennaio del 1942, una seconda a partire dal luglio dello stesso anno. Questa seconda partecipazione si conclude con la tragica ritirata del Corpo di Armata Alpino dalla terza sacca della battaglia di Stalingrado o “sacca del Don”.
Un certo numero di Alpini riesce a salvarsi solo perché il Corpo d’Armata Alpino costituiva la parte più occidentale dello schieramento ARMIR e perché i comandanti delle divisioni Julia, Tridentina e Cuneense, lasciati completamente senza ordini dall’Alto Comando, preoccupato solo di tenere il più possibile nascosto il già avvenuto massacro totale del II e del XXXV Corpo d’Armata (divisioni Cosseria, Ravenna, Pasubio, Torino, Celere e Sforzesca che non parteciparono alla ritirata perché immediatamente annientate), riescono fortunosamente in un qualche modo ad incontrarsi ed a decidere in totale autonomia: “Siamo senza ordini, proviamo a ritirarci. È l’unica cosa da fare. Qualcuno ce la potrà fare”.
Qualcuno riuscì a farcela, ottantacinquemila no.
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Le illusioni giovanili di Mario Rigoni Stern svaniscono completamente durante la disfatta e non c’è bisogno di dilungarsi sui motivi di questo.
Al rientro in Italia scopre che nessun giornale parla della ritirata e dei morti e che i reduci vengono addirittura inviati in località completamente fuori mano per evitare che raccontino del tremendo macello.
Nel settembre 1943 Mario Rigoni Stern rifiuta (ovviamente, viene da sottolineare) di aderire alla Repubblica Sociale Italiana e viene internato in un Lager della Prussia Orientale. Ironia della sorte è proprio l’Armata Rossa a liberarlo vicino a Graz in Austria nel 1945, poco più di due anni dopo la tragica ritirata.
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Dopo la guerra, a parte alcune angherie da parte del capufficio, ex-milite fascista, conosce e diventa amico di tutti i maggiori nomi della cultura “umana ed impegnata” italiana, da Elio Vittorini ad Italo Calvino, a Primo Levi, a Nuto Revelli, ad Ermanno Olmi, etc.
Il sodalizio con quest’ultimo diventa stabile e Rigoni Stern costruisce la sua nuova casa in un appezzamento contiguo a quello del regista, in un poggio il cui nome in cimbro è Kunstweldele (boschetto artistico) dove era solito fermarsi al rientro in paese nei giorni di caccia. Già. Perché il nostro, pieno di sensibilità verso il mondo della natura e della montagna, è un appassionato cacciatore.
In ogni modo è sempre in prima fila nell’opera di sensibilizzazione contro la cementificazione dell’Altopiano di Asiago e partecipa alle iniziative del Gruppo Salvaguardia Sette Comuni che contrasta la miope gestione del fenomeno turistico (vi ricorda qualcosa? A proposito di Olimpiadi…).
La sua figura pubblica, accanto a quello di custode della memoria, diventa quella di testimone e difensore dell’ambiente montano, oltre che di uno stile di vita parco e sobrio in completa opposizione a quanto prescritto dal dominante consumismo.
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Non riteniamo di dover aggiungere altro a questo ricordo del sergente nella neve a parte due parole sulla sua amicizia con Ermanno Olmi e con Adriano Celentano.
Vero. Perché, se sulla amicizia tra Rigoni Stern ed Olmi considerati i caratteri dei due interessati non appare esservi nulla di strano, bisogna dire che il terzo amico che ha edificato casa nel Kunstweldele è stato proprio il “Molleggiato”.
Come mai siano diventati amici talmente intimi da decidere di costruirsi casa insieme nessuno, tranne i diretti interessati, può dirlo con sicurezza. Tuttavia una considerazione possiamo farla: Rigoni Stern era sopravvissuto alla Ritirata di Russia e alla successiva deportazione in Germania, Olmi era figlio di un ferroviere licenziato per antifascismo e caduto in guerra; mentre, e questo quasi nessuno lo sa, Adriano Celentano è uno dei pochi superstiti del bombardamento dell’ottobre 1944 sulla scuola elementare di Gorla. Aveva quasi sette anni e quel giorno aveva la febbre ed i suoi genitori lo hanno lasciato a casa…
Evidentemente tutti e tre, indipendentemente dalle loro immagini pubbliche, hanno sentito di avere qualcosa in comune.
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Bergamo, 03.XI.2021, Marco Brusa
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P.S.: semplicemente superbo questo pezzo sulla ritirata:
“Corro e busso alla porta di un’isba. Entro.
Vi sono dei soldati russi là. Prigionieri? No. Sono armati. Con la stella rossa sul berretto! Io ho in mano il fucile. Li guardo impietrito. Essi stanno mangiando intorno alla tavola. Prendono il cibo con il cucchiaio di legno da una zuppiera comune. E mi guardano con i cucchiai sospesi a mezz’aria. Vorrei mangiare, dico in russo. Vi sono anche delle donne. Una prende un piatto, lo riempie di latte e miglio, con un mestolo, dalla zuppiera di tutti, e me lo porge. Io faccio un passo avanti, mi metto il fucile in spalla e mangio. Il tempo non esiste più. I soldati russi mi guardano. Le donne mi guardano. I bambini mi guardano. C’è solo il rumore del mio cucchiaio nel piatto. E di ogni mia boccata. Spaziba, dico quando ho finito. E la donna prende dalle mie mani il piatto vuoto. Pasausta (prego), mi risponde con semplicità. I soldati russi mi guardano uscire senza che si siano mossi. La donna che mi ha dato la minestra, è venuta con me come per aprirmi la porta e io le chiedo a gesti di darmi un favo di miele per i miei compagni. La donna mi dà il favo ed io esco.
Così è successo questo fatto. Ora non lo trovo affatto strano, a pensarvi, ma naturale di quella naturalezza che una volta dev’esserci stata tra gli uomini. Dopo la prima sorpresa tutti i miei gesti furono naturali, non sentivo nessun timore, né alcun desiderio di difendermi o di offendere. Era una cosa molto semplice. Anche i Russi erano come me, lo sentivo. In quell’isba si era creata tra me e i soldati russi, e le donne e i bambini un’armonia che non era un’armistizio. Era qualcosa di più del rispetto che gli animali della foresta hanno l’uno per l’altro. Una volta tanto le circostanze avevano portato degli uomini a saper restare uomini. Chissà dove saranno ora quei soldati, quelle donne, quei bambini. Io spero che la guerra li abbia risparmiati tutti”.
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http://www.reggenza.com/hh/index.php?jvs=0&acc=1
http://www.asiago.to/it/pagina.aspx?idPage=151
https://www.treccani.it/enciclopedia/francesco-caldogno_(Dizionario-Biografico)/
http://www.giannigiolo.it/?Scheda_bibliografica%26nbsp%3B:Recensioni:BENITO_GRAMOLA.
https://www.fattiperlastoria.it/armir-campagna-di-russia/
https://www.chiesadimilano.it/news/arte-cultura/20-ottobre-1944-la-strage-degli-scolari-di-gorla-476837.html
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