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PERCHÉ L’AFRICA NON RISULTA ESSERE “SCHIERATA CON L’UCRAINA”

PERCHÉ L’AFRICA NON RISULTA ESSERE “SCHIERATA CON L’UCRAINA”

Traduciamo un articolo pubblicato il 23 marzo da Al Jazeera, giornale “on line” del Qatar ora un po’ passato di moda, ma che ha avuto il suo quarto d’ora di notorietà (anzi, ben più di un quarto d’ora…) quando era ancora solo una televisione ai tempi delle due Guerre del Golfo (o “Petrol Wars”, Guerre del Petrolio, per usare la definizione di Franco Battiato).

L’autore, Mr. Patrick Gathara, è un giornalista, fumettista, blogger e scrittore keniota che scrive regolarmente su diverse pubblicazioni, tra cui The Washington Post, Al Jazeera, The Star e Internazionale; attualmente è il curatore del sito keniota “The Elephant”.

https://www.aljazeera.com/opinions/2022/3/23/why-africa-does-not-appear-to-be-standing-with-ukraine

https://www.aljazeera.com/author/patrick_gathara_20141863917323977

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“Schierarsi con l’Ucraina – Stand with Ukraine” non è solo una dichiarazione umanitaria, è anche un atto politico.

Di Patrick Gathara – Consulente per la comunicazione, scrittore e pluripremiato fumettista politico con sede a Nairobi.

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Ci sono stati molti commenti sulle reazioni degli Africani all’invasione russa dell’Ucraina, sulla orribile violenza che questa ha scatenato sugli Ucraini e sulla catastrofe umanitaria che ha originato.

Molte persone, anche in questo continente, sono rimaste inorridite per quello che considerano essere il fallimento morale, non solo dei governi ma anche dei singoli Africani, nel condannare apertamente la Russia per la sua aggressione evidente ed ingiustificata e per i suoi disegni imperiali e coloniali sulla terra di un altro popolo, con i quali dovrebbero avere fin troppa familiarità.

Gli Africani, sottoscritto incluso, che hanno messo in evidenza le evidenti reazioni ipocrite e razziste del sistema mediatico, dei governi e delle società occidentali sono stati accusati di avere fatto ricorso ad un comodo espediente che ci ha reso ciechi di fronte alla sofferenza degli Ucraini.

Inoltre alcuni hanno insinuato che gli Africani siano colpevoli delle stesse ipocrisie di cui accusano l’Occidente: di apparire essere più preoccupati per eventi e crisi a migliaia di kilometri di distanza e felici di ignorare le molte crisi alle porte di casa.

Molto di questo è vero. All’Assemblea generale delle Nazioni Unite, i paesi africani costituivano una percentuale significativa delle nazioni che si sono astenute od opposte a una risoluzione per condannare le azioni russe.

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Sui “social media”, si incontrano regolarmente interventi che esprimono sostegno esplicito alla Russia, anche se la maggior parte di coloro che cercano di discutere argomenti come l’espansionismo della NATO e le azioni simili da tempo effettuate dall’Occidente sembrano non avere alcuna capacità di spiegare perché questo dovrebbe giustificare l’uccisione e la mutilazione di migliaia di civili, la distruzione di vite e di mezzi di sussistenza e la riduzione a profughi di milioni di persone.

Ed è anche vero che, se pure gli Africani sottolineano il trattamento preferenziale riservato agli Ucraini rispetto ai migranti provenienti da parti meno bianche del mondo, si parla molto meno di quanto gli stessi Stati africani stanno facendo per accogliere i rifugiati e gli sfollati dai conflitti più vicini a casa.

Di norma non si sente parlare degli sforzi privati ​​da parte di Africani come il sottoscritto per organizzare convogli per fare arrivare i profughi dal Tigrè in Kenya o delle persone che accolgono i rifugiati somali nelle proprie case, come stanno facendo molti in tutta Europa con gli Ucraini (questo anche se sono sicuro che in molti faranno notare che un numero significativamente minore di questi bravi bianchi organizzerebbe trasporti o aprirebbe la propria casa quando ai confini arriva gente dalla pelle più scura).

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Anche molti Africani non sono riusciti a vedere i punti in comune tra le loro lotte contro l’imperialismo e quella degli Ucraini, preferendo invece confondere gli Ucraini con coloro che li stanno beneficando dall’Europa occidentale.

In effetti, molti, sottoscritto incluso, ignorano quasi completamente la storia del colonialismo russo nell’Europa orientale e la paura che ancora ispira nella regione.

Peggio ancora, pure il conflitto odierno, in cui gli Ucraini sono intrappolati e muoiono in quello che sembra sempre più essere un conflitto per procura tra Occidente e Russia ed il cui modello gli Africani dovrebbero conoscere fin troppo bene, fatica a essere adeguatamente considerato dato che le vittime questa volta sono di un colore più chiaro rispetto a quanto era sempre avvenuto fino ad ora.

Tuttavia è anche vero che molti di coloro che giustamente criticano le stesse risposte africane non vogliono riconoscere che i governi africani stanno facendo gli stessi calcoli di quelli occidentali.

Proprio come l’Occidente non è disposto a recidere i legami energetici con Mosca per paura di quanto questo comporterebbe per le proprie economie e per i propri cittadini, l’Africa deve impostare correttamente le proprie azioni e questo vale in particolare per i Paesi nella parte orientale del continente, come il Kenya che importa il 90 per cento del grano dalla Russia e dall’Ucraina.

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Inoltre molti sembrano incapaci di riconoscere che l’aspetto del mondo dipende in larga misura dal luogo in cui si vive. Molti qui stanno rispondendo non tanto all’invasione in quanto tale, ma piuttosto alle reazioni occidentali ad essa che hanno riacceso antiche lamentele che gran parte dell’Africa ha sempre avuto nei confronti dell’Occidente.

La minimizzazione del razzismo dello stato ucraino contro gli studenti africani che stanno cercando di fuggire dal conflitto (l’ambasciatore ucraino nel Regno Unito ha persino suggerito che le persone di colore in Ucraina dovrebbero essere rese “meno visibili”), ha irritato, così come l’ipocrisia nell’accogliere i rifugiati ucraini mentre si chiudono le porte a quelli africani e mediorientali.

Lo stesso vale per i comportamenti rabbiosi a proposito della sofferenza degli Ucraini e l’esaltazione della loro resistenza, mentre viene giurato sostegno incondizionato ad altri invasori, come Israele, e viene demonizzata la identica resistenza dei Palestinesi, che un relatore alle Nazioni Unite ha riconosciuto essere vittime di un regime di “apartheid”.

Certo niente di tutto questo giustifica quanto la Russia sta facendo, ma purtroppo rende meno condivisibile la posizione con l’Ucraina che l’Occidente presenta ora come una immagine di se stesso e dei propri valori.

Un esempio di questo è stata la diffusione da parte dell’Occidente del discorso dell’Ambasciatore del Kenya al Consiglio di Sicurezza dell’ONU al momento dell’invasione, tale discorso, pur condannandola correttamente, ha utilizzato un linguaggio che sembrava avallare il colonialismo occidentale in Africa, come ho già sostenuto in questa sede.

Allo stesso modo, molti potrebbero temere che lo schierarsi con l’Ucraina possa essere confuso con l’essersi schierati con l’Occidente (come in effetti molti nei media occidentali sembrano voler lasciare credere).

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Andando un po’ più a fondo, penso che ci sia anche una reazione da queste parti alla percezione con cui nelle società “sottosviluppate” siamo stati alimentati per molto tempo (sin dai tempi della “missione civilizzatrice”) sui luoghi dove avvengono queste crisi.

È stata una percezione evidente nei resoconti pieni di “perle” dei giornalisti occidentali traumatizzati che tali morti e distruzioni insensate colpissero l’Europa civile e la reazione viscerale che questi hanno provocato. Forse, dopo secoli in cui sono stati trattati come la feccia dell’umanità, molti si sono semplicemente sentiti sollevati dal fatto che “l’Europa” (anche in questo caso è presente molta ignoranza su cosa siano effettivamente l’Europa ed i bianchi) stia ora assaporando quanto ha più volte provocato altrove.

Infine, penso che ci sia anche un conflitto tra coloro che vedono l’attenzione globale e le reazioni occidentali all’Ucraina come un’opportunità per parlare anche di altre questioni, e coloro che affermano che, mentre l’Ucraina sta lottando per la sua sopravvivenza, tale sciocchezzuola dovrebbe essere lasciata da parte per un altro momento.

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Ma forse qualcuno pensa che una volta che i combattimenti finiranno, l’Occidente guarderà più favorevolmente alla gente che vive in posti come Gaza?

O sulla difficile situazione dei richiedenti asilo non ucraini in Europa?

O il razzismo affrontato dagli studenti neri, che non è iniziato con questo conflitto?

Se non possiamo parlare ora del boicottaggio, del disinvestimento e delle sanzioni (BDS) per fare terminare il sostegno internazionale all’oppressione israeliana sui Palestinesi nel momento in cui l’Occidente sta imponendo enormi sanzioni alla Russia per aver fatto esattamente la stessa cosa con l’Ucraina, quando potremo farlo?

Perché i paesi all’Assemblea Generale quando vengono spinti a schierarsi con l’Ucraina non dovrebbero chiedere: “E la Palestina?”.

Ci saranno coloro che diranno che il parlare di tutto costerà vite di Ucraini annacquando la determinazione internazionale. Ma il silenzio non costa vite Palestinesi?

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Da un punto di vista umano, dubito che qualcuno non possa essere d’accordo che l’invasione russa sia una catastrofe assoluta. Ma lo “Schierarsi con l’Ucraina – Stand With Ukraine” non è solo un’affermazione umanitaria. È anche politica.

E solo la trattativa politica, da entrambe le parti, potrà essere vincente.

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https://www.theelephant.info/?s=Patrick+Gathara

https://www.internazionale.it/tag/autori/patrick-gathara

https://www.internazionale.it/opinione/patrick-gathara/2021/07/14/inghilterra-italia-europei

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WHY AFRICA DOES NOT APPEAR TO BE “STANDING WITH UKRAINE”

‘Stand with Ukraine’ is not just a humanitarian statement. It’s a political one, too.

Patrick Gathara – Communications consultant, writer, and award-winning political cartoonist based in Nairobi.

Published On 23 Mar 2022

There have been many comments about Africans’ reactions to the Russian invasion of Ukraine, the horrific violence it has unleashed on Ukrainians and the humanitarian catastrophe it has created.

Many people, including on this continent, have been aghast at what they see as the moral failure not just of African governments, but also of individual Africans, to outrightly condemn Russia for its clear and unwarranted aggression, as well as its imperial and colonial designs on another people’s land, with which they should be all too familiar.

Africans, including myself, who have pointed out the racist hypocrisies of Western media, governments and societies evident in the response have been accused of a convenient whataboutism which blinds us to the suffering of Ukrainians. Further, others have suggested that Africans are guilty of similar hypocrisies to those they accuse the West of, seemingly more concerned about events and crises thousands of miles away but happy to ignore the many crises on their own doorstep.

Much of this is true. At the UN General Assembly, African countries formed a significant proportion of countries either abstaining from or opposing a resolution to condemn the Russian actions.On social media, one regularly encounters posts expressing explicit support for Russia, even though while reciting talking points such as NATO expansion and that the West has done similar things, most seem unable to articulate why that justifies the killing and maiming of thousands of civilians, the destruction of lives and livelihoods, and the displacement of millions.

And it is true that even as Africans point to the preferential treatment accorded to Ukrainians over migrants from less white parts of the world, there is much less talk about what African states themselves are doing to welcome refugees and the displaced from conflicts closer to home. You do not, as a rule, hear about private efforts by Africans such as myself to organise convoys to ferry Tigrayans to Kenya, or people taking Somali refugees into their own homes, as many across Europe are doing with regard to Ukrainians (though many will, I’m sure, point out that significantly fewer of these good white people were sending convoys or opening up homes when it was darker folks at the border).

Many Africans have also failed to see the commonalities between their struggles against imperialism and that of the Ukrainians, preferring to instead conflate the Ukrainians with their benefactors in Western Europe. Indeed, many, including myself, are almost entirely ignorant of the history of Russian colonialism in Eastern Europe and the fear it still inspires in the region. Worse, even today’s conflict, in which Ukrainians are trapped and dying in what increasingly looks like a proxy conflict between the West and Russia, of the sort Africans should be intimately familiar with, struggles to be recognised given that the victims are of a lighter hue than has been the case previously.

However, it is also true that many who rightfully criticise African responses themselves fail to recognise that African governments are making many of the same calculations that Western ones are. Just as the West is unwilling to sever its energy ties to Moscow for fear of what it means for their own economies and citizens, Africa will hedge its bets, especially countries in the eastern part of the continent like Kenya which gets up to 90 percent of its wheat imports from Russia and Ukraine.

Further, they seem unable to recognise that what the world looks like to a large extent depends on where one is standing. And that many here are responding not so much to the invasion itself, but rather to Western reactions to it, which have rekindled long-running grievances that much of Africa has had with the West. The minimising of the Ukrainian state’s racism against African students trying to flee the conflict (with the Ukrainian ambassador to the UK even suggesting that Black people in Ukraine should be “less visible”), has rankled as has the hypocrisy in welcoming Ukrainian refugees while shutting out African and Middle Eastern ones. Ditto the gnashing of teeth over Ukrainian suffering and lionising their resistance, while pledging unconditional support to invaders like Israel and demonising the similar resistance of Palestinians, whom a UN rapporteur acknowledges are victims of an apartheid regime.

Sure, none of this justifies what Russia is doing, but it does sadly make standing with Ukraine, which the West is now presenting as a reflection of itself and its own values, rather less palatable. An example of this was the valorisation by the West of the Kenyan Ambassador’s speech at the UN Security Council at the launch of the invasion which, while correctly condemning it, used language that appeared to endorse the Western colonial project in Africa, as I argued here. Similarly, many may fear that standing with Ukraine could be conflated with standing with the West (as indeed many in Western media seem to think it is).

Delving a bit deeper, I think there is also a reaction in these parts to a perception that we in “underdeveloped” societies have been fed for a long time (since the days of the “civilising mission”) about the locations of dysfunction. It was a perception evident in the pearl-clutching reporting of Western journalists shocked that such senseless death and destruction could be visited on civilised Europe and the visceral reaction this provoked. Maybe, after centuries of being treated as the dregs of humanity, many are simply relieved that “Europe” (here again, there is much ignorant conflation of what European and whiteness are) is getting a taste of what they have wreaked elsewhere.

Finally, I think there is also a conflict between those who see the global attention and Western reactions to Ukraine as an opportunity to also talk about other issues, and those who say that with Ukraine fighting for its life, such whataboutism should be parked for another time. Yet does anyone think that once the fighting ends, the West will look more favourably upon the people in places like Gaza? Or on the plight of non-Ukrainian asylum-seekers in Europe? Or the racism faced by Black students, which did not begin with this conflict? If we cannot talk about the Boycott, Divestment, Sanctions (BDS) movement to end international support for Israel’s oppression of Palestinians at the time when the West is imposing wide-ranging sanctions on Russia for doing the same to Ukraine, when can we do it? Why shouldn’t countries at the General Assembly when pushed to stand with Ukraine ask: “What about Palestine?” There will be those who will say whataboutism costs Ukrainian lives by diluting international resolve. But doesn’t silence cost Palestinian lives?

From a human standpoint, I doubt that anyone would disagree that the Russian invasion is an unmitigated catastrophe. But “Stand With Ukraine” is not just a human statement. It is a political one, too. And so far, the political conversation, on both sides, appears to be winning out.

Comments

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