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ONORE A TE: COMPAGNO TONI NEGRI
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Se ne è andato, uno dei primi ad andarsene di noi “giovani del Movimento del ’77”, e lo vogliamo ricordare sia per quanto ha rappresentato, piaccia o meno a tanti il sentirlo dire, per la cultura (con la “c”, non la “k”) nei due periodi in cui è stato professore universitario, il primo a Padova dagli anni ’60/70 e il secondo a Parigi dopo la “soluzione all’italiana” della grottesca accusa di essere “il capo delle Brigate Rosse” e la successiva condanna definitiva “solo” per associazione sovversiva: se torni, ti diamo la libertà provvisoria quasi subito e poi l’indulto. Ci stai? Implicitamente: se non torni e ti dovessimo beccare, ti “buttiamo in una fetida cella a marcire con i topi” (sic, anche se in un altro caso).
“Narcisista”, “mestatore”, “convinto di essere destinato ad essere il primo dirigente della rivoluzione”, “borghese”, “mimetico”, “infiltrato cattolico”, “figlio di (…)”, etc.: sicuramente tutte accuse con ben più di un semplice fondo di verità ma, molto semplicemente, non ci interessano.
L’uomo ci interessa, ma molto di più ci interessano gli eventi legati al suo nome e la liquidazione dei movimenti degli anni ’70 realizzata con una marea di accuse false che hanno colpito “uomini simbolo” come lui, Oreste Scalzone, Emilio Vesce, Franco Piperno, Lanfranco Pace, etc. insieme ad altri sessantamila (sessantamila!) compagni a vario titolo inquisiti.
E, dopo anni per dirla alla Enzo Jannacci, tutti assolti…
O con condanne forzate e una lunga inquisizione che ha completamente cambiato le loro (e le nostre) esistenze.
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Oreste Scalzone negli anni ’70
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Tutto, a ragionarci dopo quaranta e passa anni, finito in nulla, almeno dal punto di vista delle accuse.
Terminato con un fenomeno di omologazione di massa e di riflusso nel privato per i singoli: successo completo da questo punto di vista.
Per decenni dopo il 7 aprile ci siamo sentiti sfottere ed apostrofare con termini tipo: “Dai! Lo so che tu sei il Grande Vecchio”…
Neanche più a parlarne di riprendere attività politiche di qualsiasi genere.
Questo almeno fino a Genova 2001, ma poi ci sono state le “torri gemelle” e la “guerra al terrorismo”, praticamente un “7 aprile” a livello globale e questa non è una “altra storia”, ma è la continuazione su scala ben maggiore della prima.
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Era un anno esatto dopo quella tragedia italiana che viene ora normalmente denominata “Omicidio di Aldo Moro” e che sarebbe meglio ormai definire anche con un altro nome più appropriato, vale a dire: “seconda parte della strategia della tensione”, quella che, al contrario della prima parte di piazza Fontana e di piazza della Loggia, ha avuto pieno successo.
Successo pieno e le cui conseguenze stiamo vivendo ancora oggi.
All’epoca noi “giovani del ‘77” non avevamo per nulla capito la vera e propria fregola che alcuni avevano di “alzare il livello dello scontro” e, molto semplicemente, li avevamo tenuti ben lontani e non abbiamo mai avuto nulla di cui “pentirci o dissociarsi”.
Con il “7 aprile” e con l’orrendo “teorema Kalogero”, sostenuto da una campagna di stampa il cui unico precedente era stata la copertura l’anno precedente del sequestro Moro, è stata costruita una ora per nulla credibile montatura giudiziaria il cui unico scopo era quello di liquidare i movimenti degli anni ’70 accusandoli di essere “tutti terroristi o fiancheggiatori”.
Giuridicamente la figura del cosiddetto “fiancheggiatore” non ha mai ottenuto una definizione, per il molto semplice motivo che è una figura inesistente ed insostenibile: o uno è un aderente ad una organizzazione terroristica, o non lo è.
Non è giuridicamente sostenibile la posizione, allora dominante: “abbiamo deciso che ha simpatie per loro e allora deve dissociarsi”.
Dissociarsi da cosa quando si ha partecipato ai movimenti e non si sono commessi reati?
Dissociarsi dai movimenti e dalle proprie opinioni, ovvio.
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Oreste Scalzone oggi
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