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MONUMENTI ANTIMILITARISTI
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Settima parte
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Questa settima parte la dedichiamo al CIMITERO MILITARE GERMANICO del Passo della Futa, tra Bologna e Firenze.
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A prima vista l’inserire un cimitero militare tedesco, dove sono sepolti anche alcune centinaia di militi delle Waffen-SS e militari della Wermacht sicuramente colpevoli di crimini di guerra, tra i monumenti antimilitaristi può sembrare alquanto strano, ma il motto riportato all’ingresso di questo cimitero è molto chiaro:
“Die Toten dieses Friedhofes mahnen zum Frieden”.
“I caduti sepolti in questo cimitero invocano la Pace”.
A cui viene aggiunto:
“I cimiteri di guerra sono luoghi del dolore, della commemorazione e del perenne ammonimento”.
Stante la situazione in cui ci troviamo si può solo dire che si tratta di concetti molto attuali…
Questo cimitero di guerra ha avuto una storia molto sofferta ed è stato inaugurato solo nel 1969 su un terreno della provincia di Firenze messo a disposizione dallo Stato italiano in seguito ad un accordo con la Repubblica Federale di Germania del 1955.
Nello stesso anno il Sindaco di Bologna, Giuseppe Dozza, ha rifiutato di accettare la costruzione di questo cimitero in una località emiliana dal momento che il ricordo delle stragi naziste era “troppo vivo nella coscienza pubblica” e anche gli arcivescovi di Bologna e Firenze hanno dato all’epoca parere negativo alla realizzazione di un cimitero militare tedesco sull’Appennino.
Fatto sta ed è che, dopo alcuni anni di richieste da parte del “Volksbund Deutsche Kriegsgräberfürsorge”, l’ente tedesco per le onoranze ai caduti, viene concesso quello che si è in seguito rivelato essere il miglior terreno possibile per un’opera di invocazione della Pace: il colle sovrastante il passo della Futa, da cui lo sguardo può spaziare in tutte le direzioni, dal Mugello e dai colli a nord di Firenze fino alle colline a sud di Bologna.
All’epoca era appena stata costruita l’Autostrada del Sole che aveva trasformato in strade semi-dismesse le vecchie statali che attraversano l’Appennino e questa sistemazione era stata considerata essere solo l’assegnazione di un’area remota, in una area spopolata lontana dalla vita civile.
L’inaugurazione avviene nel giugno del 1969 e dal Comune di Firenzuola, sul cui territorio si trova il cimitero, viene organizzata una manifestazione di protesta con cartelli e striscioni.
Se per le famiglie tedesche venticinque anni sono un’attesa lunga per avere la sepoltura definitiva dei loro cari, per la popolazione italiana risulta che sono passati “solo” venticinque anni dall’eccidio della vicina Marzabotto e da tutte le altre stragi di civili.
Arrivano le corriere dei Tedeschi, dei parenti, e il timore di incidenti è forte.
Le corriere sono molte e formano una colonna dal casello di Rioveggio fino al passo della Futa, le targhe sono della Germania di Bonn e dell’Austria e faticano a trovare un parcheggio.
Dai pullman scendono molti anziani, soprattutto donne, e i pochi più giovani sono chiaramente accompagnatori degli anziani.
A vedere queste vecchie signore dall’aspetto infinitamente triste la contestazione alla cerimonia, semplicemente e spontaneamente, si spegne.
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Un aneddoto partigiano che riguarda la famiglia di chi scrive a questo punto ci sta e spiega bene alcune delle ragioni per cui, nonostante la forte opposizione formale, il permesso di costruire questo cimitero in uno dei posti più belli dell’Appennino (e non nel profondo di una qualche stretta e oscura valle fuori mano) sia stato gradualmente concesso.
La zia materna di chi scrive nell’estate del ’44 aveva venti anni ed era staffetta partigiana della brigata cattolica di Modena e, mentre il suo fidanzato era nella Repubblica Partigiana di Montefiorino a farsi rastrellare dai Mongoli turcomanni della Wermacht, aveva ricevuto incarico di ritirare “qualcosa” e di portarlo al comando clandestino della brigata dall’altra parte della città.
Questo “qualcosa” era stato nascosto in fondo ad una borsa di vimini sotto vari ortaggi e per maggiore sicurezza un’altra borsa identica era stata preparata con solo ortaggi: “se ti fermano e ti perquisiscono, consegna prima la borsa che non ha il “qualcosa”, magari decidono che non è necessario perquisire anche la seconda”.
Una previdenza che si è rivelata molto saggia.
Per cui la zia attraversa il centro di Modena con il suo carico passando vicino al Mercato Coperto per essere più credibile e a un certo punto si sente apostrofare” “Signorina dove andare tutta sola? Essere pericoloso. Io accompagnare e portare borse per lei”.
Era il sottotenentino della Wermacht alloggiato nello stesso caseggiato dove lei abitava.
Panico.
E sangue freddo: “Facciamo una borsa per uno” e gli dà quella con solo gli ortaggi.
Il sottotenentino non insiste e la accompagna per mezza Modena chiaccherando come al giorno d’oggi può fare un bravo studente tedesco quando si trova ad accompagnare una ragazza dopo essere venuto in Italia per un Erasmus.
Quando arrivano nei pressi del comando clandestino la zia sfodera le arti femminili, gli dice che è arrivata e che non è “conveniente” che la vedano insieme a lui; il sottotenentino si comporta da perfetto gentiluomo, fa un bel sorriso, le dice che spera di rivederla, le restituisce la borsa, saluta e se ne va.
[Tra parentesi, quando la zia è entrata nel comando con le borse per prima cosa le hanno dato una manica di botte perché, ovviamente, stavano sul chi vive e quando l’hanno vista arrivare con un ufficiale tedesco si sono convinti che avesse tradito. Solo quando hanno visto che il “qualcosa” c’era ancora e che non c’era nessuno, né Tedesco né repubblichino, nei dintorni si sono dati una calmata].
Cosa c’entra tutto questo con il Cimitero Militare Germanico della Futa?
Semplice, tutte le (tante) volte che la zia raccontava questa storia terminava sempre con due frasi.
La prima era: “E nella borsa c’avevo un mitra”!
La seconda, ripetuta più spesso e riferita all’ufficialetto tedesco: “Pör crìst anca lö”!
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Pöri crìsti anca löri…
È stato, comunque e nonostante tutto, un sentimento presente tra la popolazione.
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L’altra zia paterna, tuttora al mondo, ricorda sempre con affetto i due anziani soldati della sussistenza tedesca che erano alloggiati nel loro stesso casale, vicino a Reggio, che un giorno guardano il cielo con un binocolo e si mettono ad urlare ai bambini che giocavano in cortile: “Dentro! Dentro!”.
E sono schizzati fuori a prenderli tutti per gli stracci e a buttarli dentro la botola della carbonaia un attimo prima che la bomba sganciata da “Pippo” esplodesse al centro del cortile.
“Pippo”, per chi non lo sapesse, era il nomignolo dato ai cacciabombardieri alleati che si divertivano a bombardare a casaccio le retrovie della Linea Gotica.
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Se formalmente l’opposizione alla realizzazione del Cimitero Militare Germanico è stata notevole, anche il “Pöri crìsti anca löri” è stato presente e, alla fine, è stato più forte.
Anche da parte tedesca vi è stata l’accettazione di questa filosofia e le tombe delle Waffen-SS non riportano questa definizione, ma altre generiche tipo “grenadier”; così come non sono assolutamente riportati gli emblemi delle divisioni SS.
Il regolamento del cimitero, affisso in duplice lingua all’ingresso, proibisce esplicitamente l’uso di simboli politici proibiti in Italia ed in Germania e dice in chiaro che le cerimonie commemorative devono servire alla riconciliazione.
Si tratta di una chiara proibizione a qualsiasi iniziativa “nostalgica” come le varie vaccate che avvengono nella non lontana Predappio o nella bergamasca Rovetta.
La differenza è che, se dovesse presentarsene la necessità, alla Futa a fare rispettare queste prescrizioni del regolamento ci penserebbero dei Tedeschi e non certo dei Fratelli d’Italiota…
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È un cimitero di giovani, l’età media dei caduti è tra i venti ed i trenta anni ed alcuni hanno solo diciotto anni.
Ogni tanto si eseguono nuove inumazioni, quando nei luoghi più sperduti della catena appenninica vengono ancora oggi trovati resti umani riconducibili a soldati tedeschi.
Pöri crìsti anca löri.
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Una curiosità: le lapidi delle varie divisioni che hanno combattuto in Italia non riportano gli emblemi originali, ma emblemi molto edulcorati per renderli accettabili alla sensibilità italiana.
Interessante che sia presente pure l’emblema della 162° divisione fanteria, arruolata nell’armata Vlassov tra i prigionieri ex-sovietici turcomanni e di cui facevano pure parte quelli massacrati dai repubblichini a Nese nel marzo ’45.
Altrettanto interessante che, accanto alla lapide della 26° Panzer Division, non senza colpe di crimini di guerra come quello avvenuto a Fucecchio, sia presente un emblema ucraino datato 1947 con la scritta, anche in latino: “Ai combattenti per la libertà dell’Ucraina”.
Appare essere l’unica lapide a cui è stata portata una corona da poco tempo, le poche posate sulle tombe sono vecchie e sembrano risalire all’ultimo periodo di Natale.
Dato il luogo non c’è molto da chiedersi chi fossero questi combattenti a cui questa lapide è dedicata…
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Questo cimitero sta diventando meta di gite domenicali sia da parte di Bolognesi che di Romagnoli o di abitanti del Mugello.
In particolare costituisce tappa per i gruppi di motociclisti che frequentano la strada della Futa.
Non è presente alcuno spirito nostalgico o di “revanche” in queste visite, solo il desiderio di ricordare che, come riporta un altro motto all’ingresso:
“Die Soldatengräber sind die grossen Prediger des Friedens”.
“I sepolcri dei caduti sono i grandi predicatori della Pace”.
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Bergamo, 26-VI-2023
Marco Brusa
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https://e-review.it/nannini-pirazzoli-il-cimitero-degli-altri#nt-2
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http://www.bergamoincomune.it/monumenti-antimilitaristi-6/
http://www.bergamoincomune.it/monumenti-antimilitaristi-5/
http://www.bergamoincomune.it/monumenti-antimilitaristi-4/
http://www.bergamoincomune.it/monumenti-antimilitaristi-3/
http://www.bergamoincomune.it/monumenti-antimilitaristi-2/
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