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Bergamo in Comune | Novembre 22, 2024

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DON MILANI, BARBIANA ED IL MONTE DEGLI ASINI

DON MILANI, BARBIANA ED IL MONTE DEGLI ASINI

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Tutta la retorica intorno al centenario della nascita di don Lorenzo Milani (in perfetto stile: abbiamo seppellito il tuo corpo sotto due metri di terra e le tue idee sotto una montagna di retorica) ha fatto venire il desiderio di raccontare la storia, verissima, del suo essere stato non il primo, ma il secondo, esiliato dalle parti di Barbiana per conto della Curia di Firenze.

Il primo, o meglio i primi, sono stati un intero ordine religioso a cui, ai tempi, era stata data la simpatica alternativa tra l’essere considerati eretici o l’andarsene in esilio nel versante rivolto a nord del Mugello sulle pendici di un monte frequentato solo da capre e da somari.

Ovviamente avevano scelto la seconda alternativa, dichiarando anche che erano andati lì “in cerca di maggiore solitudine”, e per alcuni anni se ne sono rimasti in romitaggio forzato proprio di fianco a Barbiana (circa otto kilometri a ovest in linea d’aria), sul monte che oggi si chiama Senario (o Asinario, degli asini).

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Ma andiamo con ordine.

Don Lorenzo Milani non era quello che si suole chiamare un povero, suo padre e sua madre facevano parte della (molto) ricca borghesia fiorentina di origine ebraica.

Entrambi atei ed agnostici convinti non hanno avuto problemi, appena vi è stato il sentore delle leggi razziali, a convertirsi formalmente al Cattolicesimo al solo scopo di evitarle e in questo sono stati aiutati anche dalla famiglia Pavolini, in particolare dal pittore Corrado Pavolini, fratello del ben più noto Alessandro gerarca fondatore delle Brigate Nere di Salò, fucilato a Dongo, e padre di Luca giornalista e deputato PCI amico intimo di Lorenzo e con lui condannato a cinque mesi in appello per “incitamento alla diserzione e vilipendio alle Forze armate” per avere pubblicato su Rinascita la “Lettera ai cappellani militari toscani”.

Un minimo di ristrettezze però ci sono state ed i Milani Comparetti (questo il nome completo) hanno dovuto rinunciare ad avere Sergio Tofano, l’autore del signor Bonaventura, come sceneggiatore e a Bice Valori come attrice per il loro “teatrino dei signorini” a Castiglioncello.

Tanto per rendere chiaro la natura “politica” della conversione basti dire che i battesimi sono stati registrati e retrodatati da preti compiacenti come avvenuti nell’anno di nascita di ognuno.

Per cui il nostro Lorenzo ha passato tutta la Seconda Guerra Mondiale senza nascondersi, come studente del Berchet a Milano prima, di Brera poi ed infine del seminario di Firenze.

Sulla sua conversione ha sempre mantenuto riserbo e noi non possiamo fare altro che rispettare questa sua volontà, però era girato un aneddoto secondo il quale, mentre si trovava nullafacente nell’estate del ’43 a imbrattare tele con vedute delle vie di Firenze, aveva sentito alle sue spalle una madre dire ai figli: “Ecco un signorino che non ha niente da fare, non deve fare fatica per trovarvi da mangiare tutti i giorni, lui”.

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https://m.flcgil.it/rassegna-stampa/nazionale/da-didaweb-don-milani.flc

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Se il battesimo era stato un atto “politico” voluto dai genitori, l’ordinazione sacerdotale è stata voluta da Lorenzo contro l’opinione dell’intera famiglia e viene inviato come curato a San Donato di Calenzano, all’epoca periferia semi-industriale di Firenze, una zona depressa e “difficile” dove se la cava a dir poco benissimo.

Organizza la scuola popolare della parrocchia e, forte dell’appoggio della famiglia ormai riconciliata e in particolare del fratello Adriano medico pediatra, riesce a fare venire alcuni primari degli ospedali di Firenze a fare cicli di lezioni serali ai giovani di Calenzano.

Una sera si verifica un episodio molto significativo per illustrare i metodi di insegnamento di don Lorenzo: un primario chirurgo arriva in automobile, roba davvero da ricchi siamo nei primissimi anni ’50, tiene la sua lezione e fa per ripartire quando si accorge di avere una gomma a terra e non è capace di cambiarla.

Attimo di panico e don Lorenzo chiama i suoi ragazzi, tutti apprendisti meccanici, e chiede chi è capace di cambiare la gomma.

“Io!”, rispondono in coro e in un quarto d’ora la ruota è sostituita.

Il primario ringrazia e torna a casa.

Don Lorenzo trae l’insegnamento dal fatto: “Avete visto è il più grande chirurgo di Firenze, salva vite tutti i giorni, ma non è capace di cambiare un pneumatico [NdR: e non menatemela che si deve dire uno pneumatico…]; mentre voi lo avete fatto in quattro e quattr’otto. Senza di Voi non avrebbe saputo cosa fare. Non accettate mai di sentirvi inferiori ad altri, qualcuno è capace di fare certe cose ed altri altre. Quello che conta è l’equilibrio e tutti noi siamo necessari per qualcosa”.

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Ovviamente un prete così, anche se animato dalle migliori intenzioni di questo mondo, finisce con lo stare “antipatico” a qualchedun altro e una Curia è uno dei posti più adatti al mondo per coltivare l’invidia e il livore.

Per cui cominciano a pensare come “farlo fuori” e qualche monsignore ha la genialata: “Mandiamolo nella parrocchia più disagiata della Diocesi; lui è un “signorino” (ed è pure ebreo…), non regge, si spreta e ce lo siamo tolto dai piedi”.

Detto e fatto.

Però le cose non vanno esattamente secondo la “genialata”, don Lorenzo capisce tutto, decide: “adesso vi faccio vedere io” e si inventa la Scuola di Barbiana.

Interessante che per fare questo il futuro autore di “L’obbedienza non è più una virtù” sappia dire un “obbedisco” da fare impallidire il Garibaldi del dopo Bezzecca…

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Le due solitudini con tanta ottima compagnia a confronto: Papa Francesco e Don Lorenzo

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Molti anni fa chi scrive è stato a Barbiana.

Le figlie iniziavano il primo ciclo scolastico e con la loro mamma avevamo deciso di fare un pellegrinaggio vero e proprio: strada di montagna non asfaltata percorsa con una Fiat Regata, niente cartelli stradali, solo pezzi di legno con indicazioni a vernice… Comunque siamo arrivati.

Tutte le porte aperte anche se non c’era nessuno e la tomba di don Lorenzo letteralmente ricoperta di fiori e di catenine e di medagliette d’oro portate come ex-voto, manco fosse quella del “Pret de Ratanà” don Giuseppe Gervasini al Cimitero Monumentale di Milano.

La prima cosa che aveva fatto don Lorenzo a Barbiana era stato il comperare un appezzamento al cimitero, per far capire a tutti che la “genialata” non aveva alcuna possibilità di successo.

Sembra proprio che funzioni…

Visto il curriculum di studi che hanno ora le figlie bisogna riconoscere che il pellegrinaggio ha portato frutto. O, più probabilmente, è meglio dire che il metodo di insegnamento di don Milani, più o meno consciamente applicato, ha portato frutto.

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Come abbiamo detto, don Milani non è stato il primo esiliato dalla Curia di Firenze in quel luogo remoto che è il versante nord del Mugello.

Correva l’anno 1244, a Firenze era arrivato l’inquisitore Pietro da Verona con il compito di estirpare l’eresia catara e non era andato con la mano leggera.

Nato in una famiglia catara da adulto aveva deciso che il suo scopo di vita sarebbe stato l’estirpare quella corrente religiosa ed era entrato nell’ordine domenicano.

A Firenze aveva fondato la “Militia Christi”, vera e propria banda armata che si sarebbe scontrata più volte con Catari, Patari e, già che c’era, anche con Ghibellini.

Un secolo dopo in memoria di questi scontri a Firenze sono state erette due colonne, tuttora esistenti, nei luoghi dove la milizia domenicana era risultata vincitrice sugli eretici (chissà che razza di pogrom…): la colonna della Croce al Trebbio e la colonna di Santa Felicita.

Gli ordini mendicanti, quale era la “Compagnia di Maria Addolorata” poi ordine dei “Servi di Maria”, non propriamente eretici ma scarsamente ortodossi, non si poteva mandarli direttamente sul rogo e la strategia nei loro confronti ha dovuto necessariamente essere più raffinata: potevano “convertirsi” e accettare un priore “allineato”, oppure andarsene in esilio.

E i Serviti hanno scelto l’esilio e da Firenze si sono ritrovati, con il fraterno appoggio di padre Pietro da Verona, a costruire un nuovo convento sul versante nord del Mugello…

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Dopo questi eventi il nostro viene promosso ad Inquisitore di tutta la Lombardia e si reca a Milano, noto covo di eretici, e riprende a darsi da fare.

Si dà da fare così bene che nel 1252 Albertino, rampollo della nobilissima famiglia dei conti Porro da Lentate (famiglia tuttora esistente e vegeta), insieme al proprio scudiero Carino Pietro da Balsamo, va a farlo fuori in quel di Seveso facendogli spaccare il cranio con una specie di scimitarra.

Qui la storia si fa molto poco chiara perché entrambi gli uccisori una volta arrestati non solo non vengono giustiziati, ma il Podestà di Milano fa di tutto per riuscire a liberarli e ci riesce.

Carino Pietro da Balsamo fugge in Romagna, malato e convinto di essere in fin di vita si confessa con un Domenicano che lo assolve e come penitenza gli prescrive di entrare nell’ordine.

Campa altri quaranta anni in un convento di Forlì e diventa oggetto di venerazione popolare al punto di essere proclamato Beato (vero).

Se non ci credete andatevi a visitare la chiesa parrocchiale di San Martino a Cinisello Balsamo dove i suoi resti mortali sono stati recentemente traslati da Forlì e dove è esposto il suo simulacro con la veste di frate domenicano.

Di Albertino Porro di Lentate non se ne sa più molto, ma un evento di “damnatio memoriae” colpisce secoli dopo la sua nobile famiglia: nel XV secolo il Cardinale Branda Castiglioni, figlio di una Porro di Lentate, decide di ritirarsi, dopo una vita spesa al servizio della diplomazia pontificia, nel suo feudo di Castiglione Olona e di abbellirlo con il suo mecenatismo nei confronti di artisti come Masolino da Panicale.

Tra le altre opere commissiona a Lorenzo di Pietro di decorare l’abside della Collegiata e ora noi possiamo andare ad ammirare queste opere del primo Rinascimento, ma…

Ma l’affresco principale dell’abside è stato completamente scalpellato via durante la Controriforma in cui i Domenicani hanno avuto una parte fondamentale.

Non sappiamo nulla di questo affresco anche se, conformemente alla moda del tempo, è possibile rappresentasse una immagine sacra con gli offerenti.

Offerenti che, considerato l’affetto che il Cardinale aveva nei confronti della memoria di sua madre, è possibile comprendessero membri della famiglia Porro.

Ma non andiamo oltre, resta il fatto che quell’affresco è stato volutamente completamente distrutto.

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https://www.vatican.va/news_services/or/or_quo/cultura/190q04c1.html

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Come sia, come non sia, la fine del “fraterno amico” libera anche i Serviti che, dall’esilio (pardon! Romitaggio) del Monte Senario, sviluppano l’attività apostolica e attenuano la rigidità di alcuni punti della loro regola.

Sono infatti anteriori al 1256 le fondazioni dei loro conventi di Siena, di Città di Castello e di Borgo Sansepolcro, oltre che di Firenze.

Questo ordine è vivo e vegeto anche al giorno d’oggi e predica la devozione a Maria in cui la grotta e l’acqua (chiare permanenze di culti pre-cristiani) hanno una importanza fondamentale.

Preferiamo non andare oltre nel descriverli, considerata la nostra incompetenza sull’argomento, e ci limitiamo a rimarcare come don Lorenzo Milani non sia stato il primo ad essere esiliato nella zona più disagiata della Diocesi fiorentina, ma abbia avuto questi degni precursori.

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Bergamo 30.V.2023

Marco Brusa

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