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DOLLARO, NATO, CINA-RUSSIA, EUROPA ED UCRAINA
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Trentaduesima parte – Banche italiche, petrodollari e petro-yuan
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Mentre i BRICS hanno ufficialmente annunciato che non accetteranno almeno per un anno ulteriori domande di adesione per potere avere il tempo di mettere un po’ di ordine nella valanga, non proprio inaspettata, di richieste finora pervenute, un paio di notizie finanziarie sono state passate presso che sotto silenzio dal MinCulPop mediatico nostrano.
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La prima è di rilevanza non solo italica e riguarda i vari mali di pancia che le banche, ed i pezzi da novanta del capitale in genere, non possono che avere quando arriva un pezzo da novantanove a dire: “dovete fare come voglio io!”.
La nuova minaccia di sanzioni statunitensi più dure questa volta sembra suscitare una qual certa fronda tra le banche europee e di questa se ne fa carico (o gli è stato dato, mai sottovalutare la buona opinione che il mondo ha degli Italiani) un noto istituto nostrano che, con decisione e senza indugi, sta applicando la ben nota pratica italica della procrastinazione, presentando alla Corte di Giustizia della UE un ricorso dai contorni giuridici per nulla normalizzati, uno di quei ricorsi su cui non esiste alcuna giurisprudenza (come d’altronde anche per le sanzioni alla Russia) che fanno discutere giudici ed avvocati per anni, se non per decenni (o secoli, come nel caso di alcune cause italiche riconducibili a re Ferdinando delle Due Sicilie).
Proprio quello che al ricorrente non va bene, ma va benissimo…
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La seconda, invece, è di interesse un bel po’ più globale e riguarda il futuro (ammesso che ce ne sia ancora molto) dei cosiddetti “Petrodollari” e l’affermarsi dei “Petro-Yuan”.
Dal giugno 2024 l’Arabia Saudita ha lasciato che circolasse senza smentire la notizia (ufficiosamente sia chiaro, non ufficialmente: questi Levantini sono peggio degli Italioti) che non rinnoverà lo storico accordo con gli Stati Uniti, firmato nel giugno 1974, per vendere petrolio esclusivamente in dollari USA.
Questo accordo ha assicurato il dominio di US Dollar nel commercio globale di petrolio e di tutto il resto; il suo mancato rinnovo è, solo cronologicamente, l’ultimo evento della recente tendenza verso la de-dollarizzazione.
L’amministrazione Nixon aveva avuto successo nel tentativo di cementare una collaborazione economica con l’Arabia Saudita che è risultata essere centrale per il commercio globale e ha saputo dare a US Dollar una nuova convertibilità, con l’oro nero, ed un nuovo credito che sono risultati essere stabili per quasi mezzo secolo mentre quelli con l’oro vero e proprio erano riusciti ad esistere per meno di trenta anni.
In questo modo, oltre a mantenere stabile la domanda e l’uso di US Dollars, è stata contemporaneamente creata una fonte costante di domanda per i Buoni del Tesoro USA il cui debito pubblico ora si misura in fantastiliardi (trentatremilamiliardi di US Dollars, per la precisione).
Ora gli USA devono competere con una Pechino sempre più assertiva, mentre affrontano spinte centrifughe di alleati come l’Europa e altri che vogliono diventare più autonomi e mentre molti Paesi cercano di sviluppare accordi di pagamento alternativi ad US Dollar, soprattutto per ridurre la loro vulnerabilità al crescente uso di sanzioni economiche e finanziarie da parte di Washington.
La guerra e la conseguente economia di guerra, con tanto di governi collaborazionisti in giro per il mondo (come l’avere nominato alla Unione Europea signore “più realiste del re” provenienti da uno Stato dichiarato “judenfrei” a fine 1941 o il gestore di metà dei paradisi fiscali dell’Occidente alla NATO), in effetti potrebbero essere una “buona” via di uscita per evitare il tracollo monetario…
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In ogni modo ora pubblichiamo la traduzione in italiano di due articoli apparsi su Russia Today (bannata nella UE, sempre in base a giurisprudenza per nulla normalizzata, per non dire oscura o buia).
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Bergamo, 02.VII.2024
Marco Brusa
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