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DOLLARO, NATO, CINA-RUSSIA, EUROPA ED UCRAINA
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Ventisettesima parte – Alcune considerazioni su Credit Suisse e sugli eventi che questa crisi rende visibili.
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Come al solito, ogni volta che una “crisi sistemica” colpisce il sistema bancario occidentale la preoccupazione prima del sistema mediatico è quella di tranquillizzare.
Tale “tranquillizzazione” avviene secondo una sequenza stereotipa che può essere riassunta nelle seguenti attività standard: minimizzazione del problema; singola cattiva gestione che ha perfidamente tratto in inganno anche le sapienti Agenzie di “Rating” (*); intervento delle ancor più sapienti Autorità Bancarie; saggezza e potenza del loro intervento; il sistema è solido; ridicolizzazione e aggressività esagerate verso chi si permette di sollevare dubbi; tutto va bene, madama la marches… Oops! … signori plebei, però tutti voi ora avete altri debiti che dovranno essere ripagati; quindi, se volete mantenere la democrazia ed il tenore di vita che essa garantisce: sacrifici; chi non è d’accordo è un nemico della democrazia.
O no?
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Le analisi serie degli avvenimenti in atto, delle loro cause e delle loro conseguenze sono poche e difficili da trovare, si trova solo tanta propaganda.
Per cui vediamo di rimediare a questa situazione andando, come al solito, a leggere cosa dice la stampa internazionale su questi eventi e cominciamo, sempre come al solito, a vedere cosa si dice nella seconda superpotenza attuale.
Il Quotidiano del Popolo di Pechino dedica un articolo alle cause della crisi del Credit Suisse, articolo che a prima vista sembra esserne estraneo e riguardare altro, ma poi, osservando bene gli eventi, si constata che ne è la descrizione di una delle cause principali.
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(*) A ogni crisi si ripete lo strano meccanismo che vede le Agenzie di Rating dare una valutazione ottima a certe banche, fino al giorno in cui improvvisamente si accorgono (o sono costrette ad accorgersi) di aver sbagliato tutto.
È un “mistero” come, nonostante questi “piccoli incidenti di percorso”, tali agenzie continuino a dettare legge sui mercati finanziari.
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https://www.globaltimes.cn/page/202303/1287343.shtml
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La Export-Import Bank of China (China EximBank), importante banca “politica”, ha annunciato di aver raggiunto un accordo con la Saudi National Bank, la più grande banca dell’Arabia Saudita, per l’emissione di una linea di credito in Yuan allo scopo di facilitare il commercio nell’ambito della “Belt & Road Initiative” (BRI) cinese.
La valuta di scambio non sarà più US Dollar, ma lo Yuan che si guadagna sempre più un ruolo indipendente e significativo sulla scena internazionale.
Nel frattempo la fragile Iraq Central Bank è la prima a seguire a ruota il colosso saudita, ovviamente con la implicita benedizione degli Ayatollah iraniani che da qualche tempo commerciano già con la Cina in Yuan, ed annuncia che prevede di consentire a breve che il commercio dalla Cina venga regolato direttamente in questa moneta, nel tentativo di migliorare il proprio accesso a valute estere fino ad ora strangolato da US Dollar.
Notare come giuridicamente non esistano istituti bancari “politici” analoghi alla China EximBank in Occidente, dove tutto è privato, privatizzato e obbligato a rispondere solo alle fanatizzate cosiddette “leggi del mercato”, non certo ad interessi pubblici.
Però, la “non esistenza” di questi istituti bancari “politici” è solo giuridica, perché nella pratica tutti i governi europei li hanno e se li tengono ben stretti, camuffandoli con “escamotages” degni delle migliori commedie di Eduardo De Filippo per poterli fare figurare come banche “politicamente corrette” perfettamente interne al dominante neo-liberismo.
Si vedano, ad esempio, la Cassa Depositi e Prestiti in Italia, le banche autonome dei Länder in Germania, i fondi pensione dei dipendenti pubblici in Francia, per non parlare dei paradisi fiscali dei Caraibi per Inghilterra e Olanda…
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Questo accordo è un evento di portata storica, perché sancisce la fine del monopolio di US Dollar in Arabia Saudita che non è uno Stato come gli altri ma lo Stato garante dell’esistenza di quelli che vengono chiamati “Petrodollari”, basati sulla vendita del petrolio saudita solo in US Dollars e il reinvestimento della stragrande maggioranza degli utili conseguenti in USA e in Occidente.
La finanza internazionale, che da oltre cinquanta anni si è basata sull’asse tra Riyad e Washington con la definizione del prezzo del petrolio in US Dollars, sta per terminare, si sta verificando una de-dollarizzazione almeno parziale e al vecchio asse Riyad-Washington si sta sostituendo un asse Riyad-Pechino con l’aggiunta di Mosca.
Un asse tripartito quello tra Pechino, Mosca e Riyad che è sempre più evidente anche dall’oggettivo coordinamento tra Sauditi e Russi sulla produzione di petrolio decisa in seno all’OPEC e (questa sì che è una novità di cui da noi si cerca di non parlare) sull’abbandono della stretta collaborazione tra le aziende del complesso militare-industriale americano e la holding saudita produttrice di armi SCOPA a vantaggio di aziende cinesi e russe. “Abbiamo in programma di impegnarci in una collaborazione esemplare con le aziende internazionali della difesa”, ha recentemente dichiarato il principe ereditario, Mohammed bin Salman.
E il Credit Suisse è il primo a fare le spese di questo ritiro dei Sauditi dal sistema bancario occidentale…
Vediamo come.
Quando si è palesata la situazione critica e l’istituto ha chiesto aiuto a Riad, come già avvenuto in passato, la richiesta respinta al mittente con inusitata ruvidezza, chiara indicazione i Sauditi hanno ristrutturato i loro obiettivi strategici e con questo rifiuto hanno reso evidente al mondo la propria indipendenza, anche finanziaria, dai vecchi alleati/padroni occidentali.
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