Image Image Image Image Image Image Image Image Image Image

Bergamo in Comune | Novembre 22, 2024

Scroll to top

Top

No Comments

AZZARDO D’IMPRESA, MANUTENZIONI E TAGLIO COSTI

AZZARDO D’IMPRESA, MANUTENZIONI E TAGLIO COSTI

Gli eventi del Mottarone con le ultime notizie di pesanti accuse penali alla gestione di un impianto aperto al pubblico e alla conseguente strage di “utenti” (“clienti” secondo la definizione neo-liberista, “esseri umani” secondo la nostra) danno origine ad alcune considerazioni circa l’attuale significato delle espressioni “interesse di impresa” e “rischio aziendale” di cui tanto parlano le pagine economiche dei giornali dei nostri tempi.

La prima considerazione è che esiste la pretesa, più volte ribadita, che il “rischio di impresa” debba essere azzerato e che interventi dello Stato in economia debbano esserci quando le cose si fanno difficili (assicurando che i ricchi “amanti del rischio” siano salvati nei momenti peggiori) e che debbano essere funzionali a sviluppare i “diritti delle imprese” (e di conseguenza dei proprietari, dei padroni…) a scapito dei diritti dei lavoratori, non più presentati come i veri produttori della ricchezza, ma come un semplice “costo aziendale” da tagliare.

Molto interessanti queste tesi di cui il sistema mediatico discute ora, molto poco dottamente e molto più in uno stile da energumeni, ma al momento non vogliamo sviluppare questo argomento.

Desideriamo invece solo fare alcune considerazioni su come la, vecchia come il Cucco, categoria dell’ “azzardo aziendale” sia sempre più che mai viva e vegeta. Questo anche se massicce inclusioni di denaro pubblico e di mediatici “diritti dei padroni” possono dare l’impressione che il “rischio aziendale” sia un qualcosa da eradicare manco fosse il vaiolo.

L’ “azzardo aziendale” ha una definizione canonica che recita: condizione in cui una impresa, esentata dalle eventuali conseguenze economiche negative di un rischio, si comporta in modo diverso da come farebbe se invece dovesse subirle.

In altre parole quando un’azienda dovrebbe dedicare energie per rendere meno probabile il verificarsi di un rischio e viene invece incentivata a non farlo perchè ritiene possibile che il danno non sarà a suo carico ma ricadrà su altri o sulla comunità, oppure perché arbitrariamente decide, per colpa o per dolo, che tale danno non possa accadere.

In una condizione di “deregulation” in cui lo scopo principale di molte imprese è ormai diventato unicamente il trasferire gli utili ai paradisi fiscali è noto come in molte aziende abbiano preso il sopravvento coloro che realizzano questa attività: i cosiddetti “economisti”; vale a dire contabili totalmente avulsi dalla reale produzione di ricchezza e completamente ignavi di impiantistica industriale. A causa dell’alienazione di costoro non solo la forza lavoro non viene più considerata costituire una ricchezza, ma anche le manutenzioni diventano dei costi da tagliare per realizzare l’interesse aziendale.

I risultati sono evidenti, anche se di solito sono coperti dal sistema mediatico (di proprietà delle stesse imprese), e ne citiamo i più recenti ed i più significativi del passato, limitandoci alla sola Italia e a quelli in cui i fatti sono stati ricostruiti con precisione:

Ponte Morandi a Genova nel 2018. Emblema del “boom” economico rovinosamente crollato dopo la sua privatizzazione. Ing. Morandi si era accorto che il cemento armato precompresso in trazione con il tempo avrebbe perso le proprie caratteristiche di resistenza meccanica e che rinforzi agli stralli erano indispensabili. ANAS aveva aggiunto trefoli meccanici a due piloni su tre, poi le autostrade sono state privatizzate e il gestore ha potuto aumentarne esponenzialmente i pedaggi in nome del “diritto di impresa”, portando utili spaventosi all’estero. Le manutenzioni sono state tagliate e la relazione dei tecnici del Ministero delle Infrastrutture, acquisita dalla Magistratura, ha evidenziato sia il grave ed ignorato deperimento dei materiali sia gli scarsi investimenti in manutenzione strutturale dopo la privatizzazione.

Disastro ferroviario di Viareggio nel 2009. La causa dell’incidente è attribuibile al cedimento meccanico per fatica di un asse del carrello del primo vagone cisterna deragliato. Per prevenire queste rotture sul materiale rotabile sono obbligatori controlli che consentono di individuare le cricche prima che causino rotture e la presenza anche di solo una di queste rotture a fatica costituisce dimostrazione che le procedure obbligatorie di controllo non sono state pienamente rispettate. Da notare che il vagone ferroviario in questione era l’unico dei quattordici componenti il convoglio a non essere immatricolato dalla Deutsche Bahn AG (di proprietà della Repubblica Federale di Germania), ma dalle ferrovie statali polacche, le quali avevano assegnato la sua manutenzione ad una azienda specializzata italiana che in seguito ha avuto pesanti sofferenze finanziarie. La proprietà e la conseguente responsabilità giuridica stesse del convoglio ferroviario si sono rivelate essere un ginepraio con almeno otto aziende coinvolte e compartecipanti a vario titolo. In seguito a sentenza della Cassazione il procedimento giudiziario non è cassato e dovrà essere nuovamente avviato. Lo Stato italiano non si è costituito parte civile perché (lettera di Enrico Letta del novembre 2013): “Nel caso della strage di Viareggio, da parte del presunto autore dei reati, vale a dire del Gruppo Ferrovie dello Stato, c’è stata una proposta che offriva l’integrale risarcimento del danno. Di fronte a questa proposta l’Amministrazione statale sul piano processuale non avrebbe potuto costituirsi in giudizio, per chiedere un risarcimento che veniva offerto, appunto, fuori dal processo”.

Disastro aereo di Linate nel 2001. Ha il record in Italia per numero di vittime ed è al secondo posto assoluto a livello mondiale nella categoria degli incidenti in fase di decollo. Le scritte dipinte sull’asfalto che identificavano i vari corridoi di rullaggio erano sbiadite a causa della pittura a basso costo utilizzata risultando poco leggibili, inoltre scritte di una segnaletica precedente, non più riportata sui documenti ufficiali, erano state realizzate con pittura di buona qualità e risultavano visibili come quelle nuove. A causa di questo l’aereo privato, anche se pilotato da due esperti ex-piloti di Phantom della BundesWaffe tedesca, semplicemente sbaglia la pista di rullaggio e taglia la strada a quello della Scandinavian Airlines in fase di decollo. Il radar di terra, che avrebbe permesso ai controllori di volo di accorgersi del percorso di collisione dei due aerei era stato disattivato nel 1999 per “problemi di manutenzione” principalmente sul motore dell’antenna ed un nuovo modello rimane fermo in magazzino, ufficialmente perché ENAC aveva bocciato il progetto di installazione. Motivazione su cui più di un dubbio è lecito visto che poi è stato precipitosamente installato, collaudato e da allora messo in piena efficienza nel dicembre 2001, a meno di due mesi e mezzo dal disastro. Tre aneddoti su questo evento, due sicuramente veri ed uno forse apocrifo, ma comunque estremamente significativo. Primo evento vero: in primo grado la condanna maggiore fu data al controllore di volo, poi ridotta in secondo grado e cassata da un indulto parlamentare. Secondo evento vero: l’unico superstite, un lavoratore precario dell’aeroporto sopravvissuto a stento alle ustioni, dopo un anno mentre era ancora in terapia viene ufficialmente licenziato per non essere rientrato al lavoro al temine del periodo contrattuale massimo di malattia; salvo poi venire reintegrato con scuse quando la cosa diviene di dominio pubblico e vedersi riconosciuti i contributi Inps solo dieci anni ed oltre sessanta interventi chirurgici dopo. Evento apocrifo (sarà vero, non sarà vero, chissà?): l’allora presidente della SEA, intervistato telefonicamente di sorpresa circa il disastro la mattina stessa mentre giocava a golf, si esibì in una improvvida filippica contro i piloti dell’aereo privato ottenendo il brillantissimo risultato di inimicarsi la BundesWaffe con i Tedeschi che poi ne imposero la rimozione da ogni carica.

Motonave Elisabetta Montanari a Ravenna nel 1987. Sembrava un piccolo incendio dovuto a fuoriuscita di olio combustibile nella stiva della nave gassiera durante operazioni di saldatura di manutenzione, ma non c’erano estintori e la manutenzione era stata organizzata al risparmio senza le più elementari norme di sicurezza. I saldatori ignoravano la presenza di altre squadre nei meandri della stiva e loro sono riusciti a salvarsi, mentre gli altri operai impegnati nei lavori di pulizia delle morchie sono rimasti intrappolati e sono morti in tredici asfissiati dal fumo. In tre erano nel “primo giorno di lavoro” e l’inchiesta evidenziò una pesante pratica di lavoro nero e di caporalato. La condanna finale per il padrone del cantiere è stata di quattro anni con i benefici di legge.

Alluvione della Val di Stava nel 1985. I bacini di decantazione dei fanghi semiliquidi della miniera erano stati progettati per un’altezza massima di nove metri e durante l’uso, senza alcuna valutazione progettuale, sono stati alzati un poco alla volta fino a venticinque metri. Le vasche non erano mai state sottoposte a verifiche di stabilità e l’unico controllo, dalla conclusione abbondantemente positiva, risultava essere del 1975 ed era stato effettuato dalla stessa società concessionaria. “L’impianto è crollato essenzialmente perché progettato, costruito, gestito in modo da non offrire quei margini di sicurezza che la società civile si attende da opere che possono mettere a repentaglio l’esistenza di intere comunità umane” ratifica il rapporto della Commissione d’inchiesta successiva alla strage. Quando l’argine superiore ha ceduto per mancanza di sufficiente resistenza alla pressione dei fanghi ha trascinato con sé anche il secondo e i morti sono stati 269 tra accertati e dispersi. Dopo il “solito”, anche se non riuscito, tentativo di addossare la colpa ai dipendenti da parte della proprietà, le conclusioni giuridiche hanno stigmatizzato l’aver anteposto alla sicurezza la redditività economica sia da parte delle società concessionarie che degli Enti pubblici istituzionalmente preposti alla sicurezza dei lavoratori e delle popolazioni. In questo caso le condanne penali ed il risarcimento danni hanno riguardato sia i dirigenti della miniera che le società concessionarie che i responsabili di Distretto minerario della Provincia Autonoma di Trento.

Non parliamo, solo per ragioni di spazio, di altri eventi più lontani nel tempo, quali il Vajont ed il Gleno…

Bergamo, 26 maggio 2021

ing. Marco Brusa

Submit a Comment