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Bergamo in Comune | 28 Aprile 2025

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IL MOVIMENTO “WOKE”

IL MOVIMENTO “WOKE”

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La recente visita della Giorgia al Donaldo da un lato ha effettivamente confermato che entrambi sono sulla stessa lunghezza d’onda (lo sapevamo già), dall’altro che abbiamo a che fare con una opportunista eccezionale, capace di uscire con l’immagine mediatica migliorata di brutto dopo un pericolosissimo incontro nello Studio Ovale.

Prima di lei solo il Netanyahu aveva fatto meglio, ma costui ha tutte le cosiddette “lobbies ebraiche” a coprirgli le spalle: troppo facile.

La Giorgia, invece, ha fatto tutto da sola, pur essendo una “Dago”, una “Wop” o una “Whigger” che dir si voglia, e lo Zelensky è lì che ora si sta rodendo il fegato dopo la figura di guano fatta poco tempo fa quando aveva tutte le carte in regola per uscirne anche lui alla grande.

Però la Giorgia è tornata anche dicendo che battaglia alla “Cultura Woke” è uno dei più importanti punti in comune tra lei e il Donaldo.

Non abbiamo nessun timore ad ammettere che, quando la abbiamo sentita, ci siamo detti: “La cultura… Che? E che cavolo è?”.

Poi ci siamo voluti andare ad informare e abbiamo scoperto faccende interessanti che ora vi vogliamo raccontare.

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Gli USA sono la patria dei nomignoli razzisti, ce ne è per tutti i gusti, per tutte le etnie e per tutte le “culture”.

Il più famoso di tutti è l’acronimo WASP, che non significa solo “vespa” ma, soprattutto “White, Anglo-Saxon and Protestant – Bianco-Anglo-Sassone e Protestante”.

Tali erano i Padri Fondatori e tale è tuttora la, chiamiamola così, “aristocrazia dell’Establishment”.

Coloro che discendono da Scandinavi o da Tedeschi (quale è il Donaldo) non fanno parte della definizione ristretta di questo termine ma, siccome i WASP sono ora sotto assedio da parte di spregevoli minoranze quali gli Afro-Americani (Niggers), i Ladinos, gli Asiatici, i Nativi, i Dago/WOPs, etc., vengono ora accettati dai suprematisti bianchi come parenti, lontani ma pur sempre parenti, della famiglia WASP.

E infatti il Donaldo è lì…

Interessante come il nome WASP sia stato dato regolarmente a grandi navi da guerra della US Navy, quella odierna è la decima a portare questo nome ed è una nave d’assalto anfibio (LHD-1) che ora normalmente staziona nel Mediterraneo e in Medio Oriente.

A fare cosa?

Provate ad immaginarvelo.

La storia della ottava nave che ha portato quel nome è da raccontare perché probabilmente è stata la meno gloriosa tra le grandi navi da guerra USA, era una portaerei (CV-7) entrata in servizio nel 1940 e affondata nel 1942.

In tutto ha svolto quattro (quattro!) azioni di guerra, di cui una contro uno Stato neutrale quando gli USA erano anche loro ancora formalmente neutrali: nell’agosto 1941 ha fatto parte della flotta che ha invaso l’Islanda.

Nell’aprile e nel maggio 1942 è entrata nel Mediterraneo e per due volte ha lanciato aerei da caccia britannici con destinazione Malta.

La prima volta la maggior parte dei quarantasette Spitfire è stata distrutta quando Luftwaffe e Regia Aereonautica hanno attaccato gli aeroporti pochi minuti dopo il loro atterraggio.

La seconda volta è andata meglio e quegli aerei sono serviti a scortare bombardieri ed aerosiluranti che hanno fatto strage del naviglio italiano prima di El Alamein e durante la successiva campagna di Tunisia.

(Qui ci starebbe bene il ricordare che i generali e gli ammiragli comandanti il Regio Esercito e la Regia Marina sono stati dei degnissimi membri della stupidità militare e non hanno mai tentato di occupare Malta, preferendo fare finta di non vedere che da là sterminavano la flotta, ma stiamo parlando d’altro e allora lasciamo perdere).

La Wasp numero otto è stata colpita con tre siluri da un sommergibile giapponese ed è affondata alle isole Salomone nel settembre 1942.

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Non stiamo a dilungarci sui nomignoli dedicati agli Afro-Americani, quali “Nigger” e “Jim Crow” (Gancio il Dritto nella traduzione italiana di un notissimo albo di fumetti) fin troppo ben noti, e facciamo una breve panoramica su quelli dedicati ai “bianchi non proprio bianchi”, vale a dire ad Irlandesi ed Italiani (secondi solo agli Afro-Americani per numero di linciaggi subiti).

Il primo di questi è “WHIGGER” che letteralmente significa “white nigger”, “bianco che è un negro”.

In origine affibbiato agli emigranti irlandesi e, in seguito, trasferito con la velocità della luce agli Italiani.

Da questo derivano per elisione del termine i più noti “WOG” e “WOP” e, per associazione, altri termini quali “Guido”, “Guinea”, “Dago”, etc.

A onore del vero alcuni dizionari di “slang” nord-americano riportano che il primo uso noto di “WOP” ha origine dal termine dialettale dell’Italia meridionale “guappo” che alle orecchie anglofone suona più o meno come “wahpp”, da cui “wop”.

Il termine “Guinea” implica che gli italiani hanno la pelle scura come i nativi della Guinea, costituisce una alternativa a “white nigger”.

“Dago” è riferito non solo agli Italiani ma anche agli Spagnoli ed ai Portoghesi ed è una deformazione del nome proprio Diego molto diffuso nei territori che furono messicani.

È interessante come il nome sia stato recentemente nobilitato in un personaggio dei fumetti: un valoroso nobile veneziano rinascimentale concepito da uno sfigatissimo autore “whigger”, nato in Australia, dalla vita romanzesca e che oggi che non è più tra noi viene rivendicato come proprio cittadino sia dall’Argentina, che dal Paraguay e dalla Danimarca (sic).

Però bisogna dire che anche i Pellerossa, o Nativi che dir si voglia, quando si tratta di rispondere al fuoco nei confronti dei WASP, hanno una buona mira: WASICHU è il termine che i Lakota, alias Sioux, assegnano ai bianchi e significa “colui che prende la carne migliore per sé”.

Diciamo che hanno capito tutto del colonialismo…

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Veniamo al “movimento WOKE” americano (quello citato da Meloni) che coniuga i diritti civili con quelli sociali, che è visto come il fumo negli occhi da tutti i “politicamente corretti”, liberals, neocon o reazionari che siano, e che quindi non ha spazio sul sistema mediatico (che ha dei padroni).

Di esso fornisce una definizione anche la Treccani, anzi ne fornisce due contrapposte che citiamo letteralmente.

La prima è: “chi si sente consapevole dell’ingiustizia rappresentata da razzismo, disuguaglianza economica e sociale e da qualunque manifestazione di discriminazione verso i meno protetti”.

La seconda è: “persona che, esibendo il proprio orientamento politico progressista o anticonformista, ha un atteggiamento rigido o sprezzante verso chi non condivide le sue idee”.

“WOKE” quindi significa un qualcosa come “consapevole, cosciente, sveglio” ed in origine indicava l’atteggiamento di chi presta attenzione alle ingiustizie sociali, derivanti da questioni di genere e di etnia, e non ne rimane indifferente, solidarizzando ed eventualmente impegnandosi per aiutare chi le subisce.

Deriva dall’inglese afroamericano usato dagli anni ’30, o da prima, per riferirsi alla consapevolezza del pregiudizio razziale e della discriminazione, spesso è tuttora usato nella espressione “Stay woke!”, “Stai sveglio!”, oppure “Stai bene informato!”.

Forse la sua migliore traduzione in “wop” italiano è un qualcosa come: “Accà nisciuno è fesso!”.

È una parola con un significato positivo: si definiscono “WOKE” le persone che fanno attivismo in piazza e sui “socials”, che partecipano alle proteste antirazziste, alle marce per i diritti delle donne e che utilizzano un linguaggio rispettoso e inclusivo per riferirsi a tutti, alle minoranze e anche ai loro avversari del momento.

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Tuttavia quando questa parola ha iniziato a diffondersi negli USA il sistema mediatico ha iniziato ad usarla con ben altro significato, in parallelo con lo sviluppo del fenomeno della cosiddetta “cancel culture”.

Quest’ultima è stata presentata come un movimento spontaneo, ma in realtà è stata una induzione mediatica preparata a tavolino il cui scopo ultimo era il “cancellare” ogni possibile opposizione al “pensiero unico” e al “politicamente corretto” dominanti.

Ed infatti ha provocato intolleranza e cyberbullismo in cui ogni individuo ritenuto responsabile di aver agito o parlato in modo inaccettabile rispetto ai medesimi dominanti “pensiero unico” e “politicamente corretto” è stato emarginato, boicottato, evitato o licenziato, spesso con l’aiuto dei social media e dei “troll” ivi operanti.

“Cancel culture” ha operato conseguentemente verso il movimento “woke” cercando di indurre a livello di massa la convinzione che l’essere attivi per la giustizia, sia sociale che civile, corrisponda alla seconda definizione della Treccani appena citata.

“WOKE” è diventato un termine sempre più usato dai conservatori americani per indicare quello che considerano un pericoloso attivismo della sinistra sociale reale e che deve, pertanto, essere ridotto ad una concezione dispregiativa, ad un dogmatismo fine a se stesso che non può ottenere risultati concreti.

Per ottenere questo si è fatto pure abbondante uso di provocatori e di infiltrati nelle piazze e di “troll” a pagamento su internet.

Lo scopo è quello di trasformare il termine in una accezione negativa per ridicolizzare, sempre sul sistema mediatico, i movimenti sociali, giovanili o meno, dando ampio risalto alle loro espressioni più intransigenti e aggressive, spesso organizzate ad arte da professionisti della comunicazione di massa.

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“Cancel culture” è semplicemente scomparsa nel momento in cui Vladimiro ha attaccato l’Ucraina.

Non ce ne era più bisogno: un cattivone cattivissimo è diventato disponibile ed il sistema mediatico si è totalmente dedicato a lui.

Poi è arrivato anche il Netanyahu, ma si sa che il “politicamente corretto” proibisce anche solo di criticare il governo di Israele: parte subito l’accusa di anti-semitismo (i Palestinesi sono più semiti degli Israeliani, ma questo non si deve dire).

E qui si capisce perché la Giorgia abbia tirato fuori questo termine, fino ad ora semisconosciuto, dopo l’incontro con Donaldo e perché, notizia recentissima, la NATO abbia deciso di cancellare le parole definite “woke” e di annacquare il linguaggio sul cambiamento climatico, l’inclusione di genere e il rispetto delle diversità.

E si capisce anche come mai in Brasile, dove “stay woke!” ha riscontri sociali, il governo di Lula da Silva sia stato accusato dalle destre di promuovere un “programma woke” per la proposta di tassare i giganti del WEB e di assegnare internet ad aziende con almeno il 51% del capitale brasiliano e azionisti appartenenti a “gruppi identitari”.

Stiamo assistendo all’inizio di una nuova campagna mediatica contro ogni possibile opposizione.

Contro di noi, in breve.

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Il movimento “WOKE” è quindi un movimento che coniuga i diritti sociali con quelli civili: usa la bandiera LGBT (non quella LGBT+), ma richiede i diritti sociali.

Una sintesi di cui si sente la necessità, visto che fino ad ora un certo “politicamente corretto” ed una certa “asinistra” hanno presentato le due tipologie dei diritti come se fossero una contrapposizione non sanabile: o gli uni, o gli altri.

Da ultimo è bene ricordarsi che il MinCulPop, o sistema mediatico, non solo ha dei padroni, ma ha anche una caratteristica di matematica statistica a dir poco spessissimo vera: quando parla bene di qualcosa o di qualcuno bisogna diffidare al massimo; quando ne parla male è bene andare ad informarsi in modo autonomo.

Magari, come in questo caso, si scopre che si tratta di compagni e di impostazioni politiche da sviluppare anche qui da noi.

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Ponte Tresa (VA), 21.IV.2025

Marco Brusa

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