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Bergamo in Comune | Novembre 23, 2024

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ONORE A TE: COMPAGNO TONI NEGRI

ONORE A TE: COMPAGNO TONI NEGRI

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Se ne è andato, uno dei primi ad andarsene di noi “giovani del Movimento del ’77”, e lo vogliamo ricordare sia per quanto ha rappresentato, piaccia o meno a tanti il sentirlo dire, per la cultura (con la “c”, non la “k”) nei due periodi in cui è stato professore universitario, il primo a Padova dagli anni ’60/70 e il secondo a Parigi dopo la “soluzione all’italiana” della grottesca accusa di essere “il capo delle Brigate Rosse” e la successiva condanna definitiva “solo” per associazione sovversiva: se torni, ti diamo la libertà provvisoria quasi subito e poi l’indulto. Ci stai? Implicitamente: se non torni e ti dovessimo beccare, ti “buttiamo in una fetida cella a marcire con i topi” (sic, anche se in un altro caso).

“Narcisista”, “mestatore”, “convinto di essere destinato ad essere il primo dirigente della rivoluzione”, “borghese”, “mimetico”, “infiltrato cattolico”, “figlio di (…)”, etc.: sicuramente tutte accuse con ben più di un semplice fondo di verità ma, molto semplicemente, non ci interessano.

L’uomo ci interessa, ma molto di più ci interessano gli eventi legati al suo nome e la liquidazione dei movimenti degli anni ’70 realizzata con una marea di accuse false che hanno colpito “uomini simbolo” come lui, Oreste Scalzone, Emilio Vesce, Franco Piperno, Lanfranco Pace, etc. insieme ad altri sessantamila (sessantamila!) compagni a vario titolo inquisiti.

E, dopo anni per dirla alla Enzo Jannacci, tutti assolti…

O con condanne forzate e una lunga inquisizione che ha completamente cambiato le loro (e le nostre) esistenze.

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Oreste Scalzone negli anni ’70

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Tutto, a ragionarci dopo quaranta e passa anni, finito in nulla, almeno dal punto di vista delle accuse.

Terminato con un fenomeno di omologazione di massa e di riflusso nel privato per i singoli: successo completo da questo punto di vista.

Per decenni dopo il 7 aprile ci siamo sentiti sfottere ed apostrofare con termini tipo: “Dai! Lo so che tu sei il Grande Vecchio”…

Neanche più a parlarne di riprendere attività politiche di qualsiasi genere.

Questo almeno fino a Genova 2001, ma poi ci sono state le “torri gemelle” e la “guerra al terrorismo”, praticamente un “7 aprile” a livello globale e questa non è una “altra storia”, ma è la continuazione su scala ben maggiore della prima.

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Era un anno esatto dopo quella tragedia italiana che viene ora normalmente denominata “Omicidio di Aldo Moro” e che sarebbe meglio ormai definire anche con un altro nome più appropriato, vale a dire: “seconda parte della strategia della tensione”, quella che, al contrario della prima parte di piazza Fontana e di piazza della Loggia, ha avuto pieno successo.

Successo pieno e le cui conseguenze stiamo vivendo ancora oggi.

All’epoca noi “giovani del ‘77” non avevamo per nulla capito la vera e propria fregola che alcuni avevano di “alzare il livello dello scontro” e, molto semplicemente, li avevamo tenuti ben lontani e non abbiamo mai avuto nulla di cui “pentirci o dissociarsi”.

Con il “7 aprile” e con l’orrendo “teorema Kalogero”, sostenuto da una campagna di stampa il cui unico precedente era stata la copertura l’anno precedente del sequestro Moro, è stata costruita una ora per nulla credibile montatura giudiziaria il cui unico scopo era quello di liquidare i movimenti degli anni ’70 accusandoli di essere “tutti terroristi o fiancheggiatori”.

Giuridicamente la figura del cosiddetto “fiancheggiatore” non ha mai ottenuto una definizione, per il molto semplice motivo che è una figura inesistente ed insostenibile: o uno è un aderente ad una organizzazione terroristica, o non lo è.

Non è giuridicamente sostenibile la posizione, allora dominante: “abbiamo deciso che ha simpatie per loro e allora deve dissociarsi”.

Dissociarsi da cosa quando si ha partecipato ai movimenti e non si sono commessi reati?

Dissociarsi dai movimenti e dalle proprie opinioni, ovvio.

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Oreste Scalzone oggi

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Su scala ben maggiore la figura del “fiancheggiatore” è invece ben presente nel caso di eventi bellici conseguenti ad una invasione armata.

Pensiamo, ad esempio, alle rappresaglie nazifasciste nel corso dell’ultima guerra o agli attuali eventi di Gaza: la pulizia etnica della popolazione palestinese è descritta dal MinCulPop dei figliocci e nipotastri dei giornalisti dell’epoca come “lotta al terrorismo”.

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Ha scritto all’epoca un rapporto di Amnesty International a proposito delle accuse e delle lunghe carcerazioni preventive degli arresti del “7 aprile”:

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Le autorità italiane hanno violato tutti gli accordi europei e internazionali sui processi equi in tempi ragionevoli.

Amnesty International ha espresso quattro critiche principali su come si sono svolti i procedimenti.

Tre di queste osservazioni riguardano la durata della carcerazione preventiva degli imputati, dodici dei quali hanno trascorso cinque anni in prigione in attesa di giudizio.

Le leggi speciali sull’ordine pubblico sono entrate in vigore dopo gli arresti, ma sono state applicate retroattivamente per prolungare la già eccessiva durata della carcerazione preventiva.

In secondo luogo, si sono aggirati i limiti legali della detenzione, emettendo nuovi mandati di cattura poco prima della decorrenza dei termini, affinché gli imputati potessero essere tenuti in prigione se lo voleva il tribunale.

Ancora, secondo Amnesty International le autorità non hanno osservato le norme prescritte dal Tribunale Europeo dei Diritti Umani in relazione all’articolo 53 della Convenzione Europea, che proclama il diritto a un processo equo o al rilascio.

L’articolo prescrive “particolare diligenza da parte dell’accusa” nei casi in cui gli imputati siano detenuti.

Nel processo 7 Aprile c’è stato un ritardo di oltre 15 mesi, durante il quale non vi è stata rilevante attività giudiziaria.

Per tutto questo tempo gli imputati sono rimasti in prigione.

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E nel frattempo quella che era la ovvia disapprovazione nei circoli della cultura europea per l’operato della magistratura italiana veniva descritta dal sistema mediatico italico come “Dottrina Mitterand” cercando di rappresentarla come un fenomeno negativo, tipico di una presunta “arroganza” nei confronti di tutto quanto era italiano, compresa la “lotta al terrorismo”.

Le precise osservazioni circa la “non conformità” della legislazione italiana agli standard europei, soprattutto per quanto concerne la disciplina del “concorso morale”, le leggi speciali, l’uso della carcerazione preventiva e il rapporto con i collaboratori di giustizia non sono mai state trattate dal sistema mediatico italico, e tantomeno da governo e parlamento.

Sono finite in un oblio da cui non si vuole più estrarle, ma noi ce le ricordiamo bene.

E leggende strane a questo proposito sono state sviluppate ed alimentate: ancora pochissimo tempo fa si è dovuto ascoltare un dibattito in cui un demente funzionario UE di Bruxelles ha sostenuto che negli anni ’80 a proposito dei “fuoriusciti” stava per scoppiare una vera e propria guerra tra Italia e Francia e che solo l’intervento della allora CEE la aveva impedita (le tragiche idiozie entro e intorno al cosiddetto “7 aprile” sono infinite e non sono ancora terminate).

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Il “giudice Kalogero” ha infine ottenuto il premio per la sua brillante indagine e gli altrettanto brillanti risultati ottenuti: Procuratore della Repubblica in una città di provincia del Veneto.

Se aspirava ad una posizione di maggiore importanza, quale la Corte Costituzionale o il Consiglio Superiore della Magistratura, se la è presto dovuta scordare: sarebbe stata una figura un po’ troppo imbarazzante e, nei decenni successivi, difficilmente presentabile.

Anche per lui meglio l’oblio nella provincia veneta.

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Onore a te, compagno Toni Negri.

All’epoca siamo stati più volte in disaccordo con le tue teorizzazioni e con i tuoi tentativi (non neghiamolo, ci sono stati) di stabilire un’egemonia sul “Movimento”: non sei mai stato, ad alcun titolo, un nostro “capo” od un nostro “maestro”.

Abbiamo fatto tutto da soli e, ora che siamo anzianotti, lo rivendichiamo.

Però la dura repressione con cui il potere ti ha colpito ha colpito anche noi ed è principalmente per questo che ti consideriamo e ti chiamiamo: compagno Toni Negri.

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Bergamo, 16.XII.2023

Marco Brusa

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