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BURRO O CANNONI – BANDIERE E GEMELLAGGI
LA PAGINA ECONOMICA DEL VERNACOLIERE DI LIVORNO:
A proposito del possibile embargo del gas, Mario Draghi ci ha duramente apostrofati: “Preferiamo la pace o il termosifone acceso, o meglio ormai l’aria condizionata accesa tutta l’estate?”.
A parte il fatto che, trattandosi di una pace armata – affidata più al riarmo che alla diplomazia – questa cosa mi suona un po’ troppo come il mussoliniano: “volete burro a cannoni?”, vorrei fargli un paio di osservazioni.
Primo: caro il mio Draghi, non è questione di stare al caldo o al fresco, è questione di cosa faranno le imprese senza risorse energetiche o pagando prezzi impossibili.
Licenzieranno, chiuderanno, andranno altrove.
E noi staremo freschi, sì, ma non per l’aria condizionata.
Secondo: pace? Si fa la pace inviando armi ed aumentando le spese militari?
Pace armata, appunto. Ma finiamola una buona volta con questa che ci si arma per fare la pace!
Certo, per qualcuno le spese militari sono un bel business. Volete sapere per chi?
È presto detto. Gli USA sono di gran lunga al primo posto nelle esportazioni di armi, con un bel 38,6% sul totale mondiale.
Segue a una certa distanza la Russia con il 18,6%. Gli altri paesi sono robetta.
Ha proprio ragione Mario Cardinali (direttore del Vernacoliere – NdR) quando scrive – nell’editoriale del mese scorso – che siamo intrappolati tra “l’imperialismo in forma liberal-capitalistica da una parte e l’imperialismo in sostanza capitalistico-autocratica dall’altra”.
C’è un gran daffare a livello internazionale per fermare il commercio di droghe, le quali sì, magari non fanno tanto bene alla salute e qualche morticino per overdose ogni tanto ci scappa.
Ma dico, volete mettere le armi? Con quelle ci si fa male per davvero. Morti a sfare.
Ma vietatele una buona volta! Perseguite chi le fabbrica, chi le compra e chi le commercia.
Per tornare a noi, caro il mio Draghi, vogliamo burro.
Ci si alzerà un po’ il colesterolo, ma sempre meglio di una cannonata sulla ghigna.
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Maria Turchetto
Già docente di Storia del pensiero economico e Epistemologia delle scienze sociali all’Università Ca’ Foscari di Venezia
Da il Vernacoliere – Anno 62 n. 5 – Maggio 2022
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https://vernacoliere.com/autore/maria-turchetto/
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E dopo questa autorevole dissertazione vediamo di occuparci delle faccende un po’ più vicine a noi.
Abbiamo appena festeggiato il 25 aprile ed il Primo maggio nello spiazzo all’angolo tra via Roma ed il Sentierone e il Comune ha provveduto a decorare i portici con le bandiere di Bergamo e quelle dell’Ungheria…
Sì. Dell’Ungheria.
Chi, come il sottoscritto viene da Reggio Emilia se ne è accorto subito e, voi capirete, ci è rimasto proprio male.
Bandiere dell’Ungheria e del Comune di Bergamo esposte in occasione del 25 aprile e del Primo maggio
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Andiamo sul sito della Presidenza del Consiglio dei Ministri e leggiamo:
“La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni (art. 12 della Costituzione)”.
Andiamo su Wikipedia (perdonateci ma il nostro ungherese è pessimo e proprio non ce la sentiamo di andare sul sito del governo dell’Ungheria) e leggiamo:
“La bandiera dell’Ungheria è un tricolore a bande orizzontali rosso (in alto), bianco e verde”.
Inoltre, il Tricolore italiano non ammette bande per il “lungo” e deve sempre avere la proporzione 3 x 2 in lunghezza ed in altezza proprio perché costituito da tre bande.
Le dimensioni consigliate dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri sono, a seconda delle modalità di esposizione: 300×200, 450×300, 150×100 cm.
Il tricolore ungherese (con la “t” minuscola, non per mancanza di rispetto, ma solo perché non siamo Ungheresi e la “T” maiuscola la riserviamo al nostro) invece ha una proporzione molto più stretta 1 x 2 ed è pertanto più “lungo” del nostro Tricolore.
È da notare anche che, quando si espone in verticale, il Tricolore non cambia rispetto a quanto previsto dall’art.12 della Costituzione e deve pertanto essere esposto nel corretto ordine dei colori: verde in alto, bianco e rosso in basso.
Tricolore correttamente esposto in verticale
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Stendardi o “striscioni” della bandiera nazionale con strisce disposte “all’ungherese” semplicemente non esistono, o almeno non dovrebbero esistere.
Poi, se qualcuno vuole esporre bandiere strane (come ha fatto una Associazione d’Arma in occasione dell’Adunata Nazionale di una dozzina di anni fa) per noi è liberissimo di farlo, però non venga a raccontarci che sta esponendo il Tricolore. Sta esponendo una cosa solo sua. Padronissimi…
Tuttavia le cerimonie ufficiali sono, o dovrebbero essere, una cosa seria e quindi noi vogliamo vedervi il Tricolore, non una bandiera straniera.
Ne consegue una nota di demerito per il Comune di Bergamo per l’allestimento del 25 aprile e del Primo maggio: la prossima volta vediamo di non sbagliare la bandiera nazionale!
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Questo anche se un omaggio all’Ungheria, vista la situazione internazionale non ci sta bene, ma ci sta benissimo.
Un piano di uscita alla guerra in corso attraverso un accordo politico è stato escluso dai belligeranti e dagli (ancora) non-belligeranti. Per le parti di loro competenza sia la NATO che gli USA e la UE (o forse è meglio dire le finanziarie e le banche atlantiche) hanno scelto di massimizzare la posta strategica in gioco e di procedere ad una decisa “Escalation”.
Una unica “vox clamans in deserto” si sta levando all’interno dell’Unione Europea ed è quella del governo ungherese che sarà anche politicamente poco corretto, secondo le definizioni di una certa pseudo-sinistra con l’elmetto, e forse troppo amico del (omissis) di Milano. Però siccome “la ginta s’acnöss sòt a’carégh” (la gente si conosce quando è sotto sforzo), dobbiamo proprio riconoscere come nei frangenti attuali quel governo non si stia proprio per nulla comportando male.
Nota di merito al Comune di Bergamo per avere esposto la bandiera ungherese.
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Poi sono due mesi che vediamo l’esposizione di una bandiera straniera sul palazzo del Comune di Bergamo.
Bandiera di uno Stato estero esposta su un ufficio pubblico di Bergamo in violazione di D.P.R. 7 aprile 2000, n. 121 – art. 8.1.
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Andiamo a vedere cosa dice la normativa applicabile e consideriamo il D.P.R. 7 aprile 2000, n. 121 – Regolamento recante disciplina dell’uso delle bandiere della Repubblica italiana e dell’Unione europea da parte delle amministrazioni dello Stato e degli enti pubblici (decreto Ciampi):
Art. 8.1. All’esterno e all’interno degli edifici pubblici si espongono bandiere di Paesi stranieri solo nei casi di convegni, incontri e manifestazioni internazionali, o di visite ufficiali di personalità straniere, o per analoghe ragioni cerimoniali (..).
La Presidenza del Consiglio dei Ministri scrive esplicitamente sul suo sito:
“11. Un ente o ufficio pubblico può esporre bandiere straniere?
NO (tutto maiuscolo nell’originale – NdR), salvo l’occasione di incontri internazionali”.
Dal momento che nessuno è a conoscenza di chissà quale lunghissimo convegno internazionale a Palazzo Frizzoni, ne consegue che sono più di due mesi che il Comune di Bergamo arbitrariamente non applica le normative della Repubblica Italiana per quanto riguarda l’esposizione di una bandiera di uno Stato estero.
Sarà tutta colpa della “deregulation”…
Evidentemente il Comune si è dimenticato di applicare anche il seguente articolo di D.P.R. 7 aprile 2000, n. 121:
Art. 10.1. Ogni ente designa i responsabili alla verifica della esposizione corretta delle bandiere all’esterno e all’interno.
Questo anche se la Presidenza del Consiglio dei Ministri rincara:
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Chi è il “flag man”?
È il responsabile della esposizione corretta delle bandiere. Ogni ufficio pubblico deve designare l’addetto alle bandiere.
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Ma lasciamo perdere, almeno per ora.
Piuttosto siamo venuti a sapere della proposta del nostro signor Sindaco di realizzare un gemellaggio con una località ucraina martire della guerra in corso.
Tranquillizziamo il signor Sindaco, non siamo favorevoli a questa proposta, siamo favorevolissimi.
Siamo vicini a tutte le popolazioni devastate dalla guerra.
Però siamo contrari alla politica-spettacolo e proporre ora un gemellaggio con una città devastata sì dalla guerra, ma su cui non è stata ancora svolta alcuna indagine internazionale neutrale per determinarne le colpe e le responsabilità, ci sembra che appartenga più ad un bisogno individualistico di tenere se stessi al centro dell’attenzione mediatica che non a volere portare una oggettiva solidarietà, e magari un aiuto umanitario concreto, alle popolazioni martoriate.
Ci permettiamo pertanto di suggerire al nostro signor Sindaco di indirizzare al meglio il proprio slancio umanitario e di ricordarsi di quanto scrive un filosofo alla base della Cultura Occidentale, Lucio Anneo Seneca: ““Quanto viene dato con orgoglio ed ostentazione dipende più dall’ambizione che dalla generosità.”
Il mondo di oggi è pieno di città martiri che hanno molto bisogno di solidarietà (ed un gemellaggio può effettivamente essere consono a questo) oltre che di un aiuto materiale concreto.
Ne presentiamo alcuni esempi, certi che il nostro signor Sindaco sia come posizione personale/politica a distanza siderale dall’ambizione e dal bisogno individualistico di mettere se stesso al centro dell’attenzione mediatica:
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Macallè dove è in corso un’altra guerra, quella tra Stato etiopico e Fronte popolare di liberazione del Tigrè e che ha legami con Bergamo a causa del nostro passato coloniale.
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Harrar, Giggiga e Dire Daua in Etiopia, più volte bombardate dal Podestà di Bergamo, Antonio Locatelli, ed a cui il Comune non si è mai sentito in dovere di portare un segno di pace qualsiasi.
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Debra Libanòs in Etiopia dove 1500/2000 Etiopi, in prevalenza monaci e diaconi della Chiesa copta, sono stati sterminati su ordine del Vicerè Graziani nel maggio 1937.
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Herat in Afganistan dove era dislocato il contingente militare di “pace” italiano e che ora ha tanto bisogno di un aiuto visto che l’economia dell’Afganistan è sull’orlo del collasso e milioni di Afgani sono quasi alla fame (anche perché sette miliardi di dollari dello Stato afgano nelle banche USA sono stati “frozen”, congelati, non si capisce in base a quale norma del Diritto Internazionale).
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Saana o una qualsiasi altra città dello Yemen, da otto anni in catastrofe umanitaria per la guerra (non si capisce se del petrolio o di semplice e per noi non molto comprensibile geo-politica) ivi in corso.
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Podhum (Piedicolle secondo la toponomastica di assimilazione fascista) in Croazia; vera e propria Marzabotto jugoslava per la strage di civili effettuata dal Regio Esercito il 12 luglio 1942.
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Domenikon in Grecia, altra strage di civili effettuata dal Regio Esercito il 16 febbraio del 1943 di cui l’Ambasciatore ad Atene ha già presentato ufficialmente nel 2009 la richiesta di perdono da parte dell’Italia ai familiari delle vittime e alla Grecia.
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E si potrebbe continuare…
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