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DOLLARO, NATO, CINA-RUSSIA, EUROPA ED UCRAINA
Quarta parte – Come sta l’economia globale basata su US Dollar?
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Una agenzia di “rating statunitense” ha affermato che i titoli di Stato russi andranno in default, se la Russia non pagherà 117 milioni di US Dollars di interessi entro la fine di aprile.
Le riserve della Russia sono molto più che abbondantemente sufficienti per questo pagamento, ma metà delle riserve auree e valutarie sono state “congelate” (i Russi dicono “rubate”) con le sanzioni e negli USA è stato presentato un disegno di legge per impedire alla Russia di utilizzare i suoi 130 miliardi di dollari in riserve auree all’estero.
In conseguenza di questo in Russia è stato deciso di rimborsare in rubli i debiti in valuta estera verso i paesi che applicano sanzioni, definiti “ostili”.
Un eventuale pagamento in rubli sarà visto dalle agenzie di rating occidentali come un’inadempienza e, se Mosca non sarà in grado di utilizzare i fondi congelati delle sue riserve valutarie estere, il probabile risultato sarà che la Russia verrà dichiarata essere in “default” con tanto di declassamento dal livello B a quello D.
Come se, stante la situazione, fosse possibile che questa “minaccia” possa ancora rivestire un interesse qualsiasi per la nazione interessata…
Interesse, invece, questa misura ne riveste (eccome!) presso tutti gli altri Paesi, sanzionatori o meno.
Questa causerà infatti inevitabilmente, insieme alla assegnazione (più o meno “legale o legalizzata”) di buona parte delle riserve auree e monetarie estere della Russia a cosiddetti “creditori”, una signora crisi sui mercati finanziari internazionali e si verrà ad originare una stretta di liquidità globale con conseguente ritiro di capitali dai mercati e successivo loro investimento presso i cosiddetti “beni rifugio”, vale a dire oro e mercato azionario “sicuro”, soprattutto USA.
Questo è forse il motivo principale per cui USA e NATO (con il codazzo UE) hanno creato e gonfiato l’aggressività ucraina nel Donbass e nei possibili armamenti nucleari. Ma, sull’altro piatto della bilancia e in conseguenza di questo probabile scenario, le economie di mercato dei Paesi emergenti stanno acquisendo la consapevolezza che devono attivarsi per garantire la propria futura sicurezza finanziaria.
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Ne deriva la oggettiva necessità che le economie dei mercati emergenti (in primo luogo, ma non solo, Cina e India) considerino seriamente la creazione di un sistema economico e finanziario indipendente da quello dominante occidentale, al fine di proteggere meglio i propri interessi nazionali, ed è del tutto legittimo che questi paesi decidano di conservare normali relazioni commerciali con la Russia.
In buona parte del mondo si sta sviluppando una crescente consapevolezza che l’egemonia finanziaria occidentale è troppo incontrollabile ed autoritaria, per non dire parassitaria, e che a questa situazione è necessario trovare rimedio.
Ad esempio, l’India fino ad ora acquistava solo una percentuale minima del proprio fabbisogno di petrolio dalla Russia, ma con i prezzi del petrolio aumentati di oltre il 40% nelle ultime settimane, sta valutando la possibilità di accettare un’offerta russa per importare greggio e altre materie prime con una forte riduzione rispetto ai prezzi di mercato e pagamento basato sul cambio rupia-rublo con lo Yuan cinese come punto di riferimento. È ovvio che l’India (e non solo essa) abbia tutti i diritti per proteggere anche in questo modo la propria economia dai prezzi del petrolio andati fuori controllo con le sanzioni.
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Aggiungiamo la situazione, totalmente imprevista, del comportamento dell’Arabia Saudita che non è minimamente quello che USA e NATO avevano previsto e che potrebbe dare inizio alla fine dei cosiddetti Petrodollari.
Un breve riepilogo della storia di questi ultimi: nel 1973 la convertibilità dello US Dollar con l’oro non era più gestibile in conformità ai vecchi accordi di Britton Woods e l’amministrazione Nixon aveva capito che la progressiva obsolescenza di quel sistema avrebbe causato un calo nella domanda globale di US Dollars, mentre invece quest’ultima era vitale per l’economia USA.
Ne è conseguito un accordo con l’Arabia Saudita.
I Sauditi, con al traino i paesi OPEC, hanno acconsentito ad effettuare tutte le loro esportazioni di petrolio esclusivamente in US Dollars e ad investire questi proventi in titoli di debito USA ed in cambio gli USA hanno offerto armi e protezione dai paesi vicini, Israele incluso.
Per gli americani l’esistenza dei Petrodollari incrementa la domanda di US Dollars e anche di titoli di debito statunitensi e consente agli USA di acquistare petrolio con una valuta sotto totale controllo che può essere stampata a piacimento.
Ne consegue che il mantenimento del monopolio dei Petrodollari costituisce l’obiettivo strategico principale di tutte le politiche USA, economiche, finanziarie e militari.
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Tuttavia da parecchio tempo i Sauditi non trovano essere questa situazione molto in accordo con i loro interessi ed inoltre le pretese USA per i loro interventi, diretti od indiretti, nelle guerre di Siria e dello Yemen si sono risolte in catastrofici fallimenti.
La comparsa della Russia come produttore di petrolio extra-OPEC aveva portato ad una vera e propria guerra commerciale sul prezzo e anni fa l’Arabia Saudita aveva deciso di aumentare la sua produzione per abbassarne il prezzo e fare pressione sulla Russia in Siria.
Questo piano ha ottenuto un risultato esattamente opposto e ha portato a un enorme crollo del prezzo del petrolio per il quale i Sauditi si sono trovati a rischiare il fallimento per la prima volta dall’inizio della loro espansione petrolifera di quasi un secolo fa. Si sono indebitati e sono stati obbligati ad adottare drastiche misure di taglio della spesa interna, manco fossero diventati un governo Monti-Fornero qualsiasi.
Aggiungiamo che le sconfitte yemenite e l’orrendo ritiro dall’Afganistan sono stati interpretati (a torto o a ragione) da Riyad come una aperta violazione dell’accordo sui petrodollari del 1973.
Per cui alla richiesta di sanzioni contro la Russia l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi non hanno nemmeno risposto avendo capito che non è loro più possibile fare affidamento solo su Washington.
Si è arrivati alla grottesca (qualche settimana fa) situazione in cui il principe ereditario saudita (no comment sulla persona) ha detto no alle richieste USA di aumentare la produzione di petrolio e si dice che si sia persino rifiutato di rispondere alla telefonata di Biden.
Ovviamente chi ci guadagna è Pechino, molto più che disponibile ad infilarsi nella breccia che si è aperta nel mercato dei Petrodollari e a trattare di transazioni petrolifere in Yuan invece che in US Dollars.
Se i Petrodollari dovessero avere un tracollo, la abbondante stampa di US Dollars cartacei (il “quantitative easing” di cui tanto si parla senza che se ne capisca il significato) costituirà un problema molto, ma molto, più che serio per l’economia USA.
Un eventuale accordo per la vendita di petrolio arabo in Yuan invece che in US Dollars diventerà per forza una seria minaccia per lo US Dollar come valuta di riserva globale unica e non dimentichiamoci quanto è avvenuto nel 2003 quando Saddam fece un tentativo di vendere petrolio in cambio di quella moneta, ora screditata ma all’epoca potenzialmente credibile, che va sotto il nome di Euro…
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In effetti queste odierne hanno tutto l’aspetto di essere le prime sanzioni della storia che, pur provocando certamente danni anche all’economia dello Stato sanzionato, colpiscono in maniera più pesante i popoli dei paesi che le instaurano, soprattutto quelli dell’Unione Europea.
Questo a causa delle conseguenze che esse hanno su tutta l’economia reale, sui costi della benzina, del metano, del carbone, di diversi altri metalli e minerali, del grano e di altri alimenti, facendo andare l’inflazione a livelli mai visti.
Qualche “pirlino” (scusate, ma il termine calza veramente troppo bene) che si fa fotografare con elmetto, mimetica e giubbotto antiproiettile ha già pronunciato a questo proposito la frase tipica riferita a tutti i tagli dei diritti sociali, lavorativi, sanitari, di istruzione, etc.: “Ce lo chiede l’Europa”…
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Dopo questo periodo di iniziali vantaggi, però lo scompiglio nel mercato finanziario e la rimozione delle banche russe dal sistema SWIFT sono destinati, come effetto collaterale, a ridimensionare nel medio-lungo periodo la posizione globale di US Dollar.
I mercati finanziari globali sono stati gravemente scossi da queste sanzioni finanziarie, usate come una clava che sono una ennesima manifestazione dell’uso ripetuto di “armi finanziarie” negli ultimi anni per mettere in difficoltà governi e, soprattutto, i loro popoli.
La premessa per potere applicare tali sanzioni è che US Dollar sia la moneta più diffusa in tutto il mondo, che l’infrastruttura finanziaria sia lo SWIFT guidato dagli USA e che a Wall Street siano riconosciute ridondanti capacità di credito (vere o presunte che siano).
La domanda principale viene ad essere quanto a lungo può durare una situazione di questo genere dopo che gli USA hanno oggettivamente abusato da decenni dell’uso del US Dollar come “arma finanziaria” invece che lasciarla al suo ruolo “naturale” di valuta globale affidabile, calpestando in questo modo il cosiddetto “libero mercato”.
Qualora, in qualsiasi modo, la Russia dovesse nel tempo risultare capace di “sopravvivere” alle sanzioni, questo comporterà la fine dell’era in cui lo US Dollar ha dominato in regime di monopolio il sistema globale dei pagamenti.
Le conseguenze collaterali, vale a dire principali, delle sanzioni sono piuttosto prevedibili, vedansi le recenti perturbazioni sui mercati azionari, ma questo alla fine sarà irrilevante rispetto all’erosione a lungo termine del credito statunitense che è stata indotta, dal momento che i vari governi e gli investitori, soprattutto dei pesi emergenti, si stanno interrogando sulla sicurezza di far fluire il proprio capitale in un mercato dove è già più volte successo che venga sequestrato (rubato, dal punto di vista degli investitori) per ragioni politiche.
Ne risulta che è un dato oggettivo che sul “libero mercato globale” sia presente la domanda di un nuovo rifugio sicuro per i capitali che si stanno originando dai “Paesi emergenti” ed è probabile che, nonostante l’impennata causata dagli ultimi eventi militari e politici, la tendenza al deflusso di capitali dagli USA sia un fenomeno a lungo termine.
In ogni modo è molto probabile che questo fenomeno verrà misurato in decenni più che in anni dal momento che attualmente nessuna altra valuta può comunque raggiungere lo stesso livello di convertibilità dello US Dollar e anche lo Yuan cinese per ottenere questo necessita del “tempo che ci vuole”.
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È comunque ormai noto che in Russia è stata presa la decisione di attaccare il mercato dei metalli ancorato allo US Dollar per demolirlo (per i petrodollari sembra proprio che gli USA stiano facendo tutto da soli…) dal momento che, nella situazione attuale e dal loro punto di vista, è necessario garantire il funzionamento dell’industria “scollegando” i prezzi delle materie prime dal tasso di cambio ora dominante.
Questa situazione risulta invece molto pesante nell’Unione Europea dove le industrie, in particolare le acciaierie e quelle dell’auto, si stanno fermando non solo per i costi dell’energia, ma per la irreperibilità delle materie prime, con i governi e la stessa Unione più impegnati a nascondere il fenomeno (comportamento paragonabile alla taciuta catastrofe dell’ARMIR nella campagna di Russia) che a trovarvi rimedio.
Il tracollo dell’offerta dovuto al divieto di importazione di metalli fondamentali dalla Russia non può trovare soluzioni a breve ed i più ottimisti parlano di uno o due anni solo per trovare nuove fonti di approvvigionamento, lasciando stare a quale prezzo.
Tanto per dirne una le case automobilistiche stanno ora ipotizzando di sostituire il palladio utilizzato nei convertitori catalitici per rispettare le draconiane norme antinquinamento della UE con il platino, vale a dire con un metallo che fino a poco fa valeva più dell’oro (ma anche questo ora aumenterà)…
Oltre al palladio anche l’alluminio ed il nichelio hanno raggiunto livelli record come pure le terre rare, già in aumento dalla seconda metà del 2021: niente più microprocessori e controllori programmabili… Aziende di gran nome che un tempo davano consegne a due mesi scarsi, ora richiedono regolarmente almeno un anno e mezzo, vale a dire il tempo necessario per trovare nuovi fornitori dagli Appennini alle Ande passando per il Sud Africa.
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I Paesi e le imprese europee sopporteranno il prezzo più salato delle sanzioni occidentali e la Russia si sta riorientando verso paesi considerati amici come la Cina, l’India, l’Iran e chi pagherà di più per queste sanzioni sarà l’Unione Europea.
La Casa Bianca ha affermato di recente che il commercio della Cina con la Russia non è sufficiente per compensare l’impatto delle sanzioni su Mosca, Tuttavia il commercio tra i due paesi si incrementa a vista d’occhio nonostante gli eventi ucraini.
Secondo gli ultimi dati doganali cinesi, il fatturato commerciale tra i due paesi è aumentato di quasi il 40% nei primi due mesi di quest’anno rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, superando i 26 miliardi di US Dollars.
Mosca e Pechino hanno l’obiettivo ambizioso di aumentare la cooperazione economica bilaterale a 200 miliardi di US Dollars (o l’equivalente nella valuta che ne prenderà il posto) entro il 2024.
L’Unione Europea sta subendo gravi danni (taciuti dal sistema mediatico, tranne alcuni accenni nelle pagine economiche) a causa dell’improvvisa interruzione dei numerosi rapporti commerciali ed economici con la Russia.
Il problema principale per l’economia della UE è ora trovare nuovi produttori e fornitori disponibili per il petrolio, il metano, i metalli, le terre rare e tutte le altre materie prime fino ad ora serenamente acquistate in Russia.
Per il petrolio non ci vorrà molto, mentre per il metano sarà un po’ più difficile e (come sostengono sarcasticamente i siti russi che si pretende di censurare) una lunga serie di materie prime fino ad ora di origine russa “potrà essere sostituita senza problemi entro non moltissimi anni”…
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Questo richiederà una grande disponibilità non solo di energie, ma soprattutto di volontà politica ed è questa quella che suscita le maggiori preoccupazioni: andare in Sud Africa invece che in Russia per comperare del palladio alla fine è solo un problema di costi e di tempi di consegna; mentre nella nuova situazione che esiste dal 24 febbraio avere al governo bancari, economisti, ragionieri e simili equivale a cercare di navigare nel mare in tempesta con una barca a chiglia piatta, anzi peggio, con un mezzo a ruote.
Si tratta di gente che può anche “funzionare” quando si tratta di distribuire i soldi del PNRR agli “amici degli amici”, ma che ora manco ha la capacità e la professionalità di vedere quali sono i nuovi problemi veri, tipo andare ad aprire e a conservare le rotte di approvvigionamento.
Ad esempio: sui costi dei beni di prima necessità che vanno alle stelle si è stati solo capaci di dire che si ridurranno di poco le accise, che lo Stato pagherà le società private per ridurre le bollette (salvaguardando comunque gli utili stratosferici dei privati), che lo sceicco del Qatar è nostro amico, che si deve rilanciare il nucleare e altre, scusate il francesismo, scemenze del genere.
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Ma niente paura, la maggior parte dei paesi UE aumenterà di brutto la spesa per la difesa anche se la credibilità ed il conseguente peso politico dell’Unione ha subito un colpo durissimo con l’appiattimento, senza se e senza ma, sulle posizioni degli USA e della NATO.
Per i complessi militari-industriali dei paesi europei questo produrrà grandi utili nel lungo periodo e saranno loro a “tirare l’economia” nei prossimi anni in buon accordo con gli USA.
Il nuovo livello di confronto con Mosca sta aiutando la NATO a rafforzare la disciplina interna e porta sempre più la UE a trasformarsi in quella “Europa disciplinare”, teorizzata da pochi agli albori dell’Unione, in cui le libertà democratiche e sociali vengono ridotte in nome di molto strombazzati ma non ben definiti “ideali europei”.
Così come le aziende energetiche USA hanno molto da guadagnare da queste sanzioni e si prenderanno una buona fetta del mercato europeo rimasto scoperto, ora sarà anche più facile per gli USA estromettere la Russia dai mercati mondiali delle armi.
Solo Cina e India rimarranno i principali acquisitori di armamenti russi e Mosca troverà più difficile competere in altri mercati.
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La Cina perderà molto poco a causa dell’attuale crisi e anzi ha tutto da guadagnare dal momento che può appropriarsi di una quota significativa del mercato russo, ora gentilmente lasciato libero dall’Occidente (alcuni imprenditori europei, tedeschi ed italiani in particolare, non è che ne siano molto contenti, ma l’Europa a guida NATO è disciplinare anche per loro…).
Le risorse energetiche russe diventeranno più accessibili alla Cina a prezzi inferiori rispetto a prima. Inoltre, la Cina è destinata a diventare il principale partner finanziario della Russia, una partnership che sarà comunque fortemente sbilanciata a favore della Cina che eserciterà una sempre maggiore influenza in Asia centrale (e altrove) e rafforzerà la propria sicurezza economica e finanziaria per resistere al confronto con l’Occidente.
È comunque improbabile che gli sviluppi attuali si traducano in una vera e propria alleanza militare e politica russo-cinese dal momento che la Cina cercherà saggiamente di rimanere il più flessibile possibile.
La pressione militare USA su Pechino sta diminuendo dal momento che la “Prima Superpotenza” non è in grado di gestire più di una crisi globale contemporaneamente. Figuriamoci cosa potrebbe accadere se alla guerra in Ucraina si aggiungessero il divampare di quella sempre strisciante in Medio Oriente ed una, tutta nuova, dalle parti di Formosa…
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La crisi ucraina potrebbe anche avvantaggiare un certo numero di paesi che attualmente stanno subendo sanzioni punitive USA, ad esempio Venezuela ed Iran, ed alcune sanzioni loro imposte potranno forse essere sollevate per compensare i danni derivanti dal blocco alle importazioni del petrolio russo.
Questo non interesserà più di tanto gli Ayatollah, già in fase di avanzato inserimento in un mercato basato sullo Yuan, ma costituirà un evento di grande importanza per il Venezuela che potrà assicurarsi alcune nuove entrate che permetteranno di migliorare il tenore di vita di quel popolo da anni sotto attacco per sanzioni imposte unicamente per ragioni di bullismo economico-politico (anche qui con l’Unione Europea che ha fatto da codazzo).
È pure vero che gli USA in America Latina devono ora stare molto attenti dal momento che a sud del Rio Bravo nessuno Stato ha aderito alle sanzioni di “los Gringos” contro la Russia.
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E anche per oggi finiamola qui (solo per ora, sia chiaro).
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Bergamo, 21.III.2021.
Marco Brusa
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https://www.globaltimes.cn/page/202203/1255049.shtml
https://thesaker.is/is-the-petrodollar-swaying/
https://www.globaltimes.cn/page/202203/1254956.shtml?id=11
https://www.rt.com/business/551272-india-bypass-dollar-russia-trade/
https://timesofindia.indiatimes.com/business/india-business/cheap-russian-crude-is-finding-willing-buyers-in-india/articleshow/90348536.cms
https://www.globaltimes.cn/page/202203/1254860.shtml
https://www.rt.com/russia/552333-russia-ukraine-conflict-benefits/
https://timesofindia.indiatimes.com/business/india-business/rupee-bonds-retreat-as-oil-prices-jump/articleshow/90352239.cms
https://www.rt.com/business/552156-global-auto-market-trouble/
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