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Bergamo in Comune | Novembre 22, 2024

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(02.05.19) “Bergamo in comune”. Riflessioni e proposte sulla cultura

(02.05.19) “Bergamo in comune”. Riflessioni e proposte sulla cultura

* Un contributo del candidato consigliere Enrico Masseroli, attore

Il territorio appartiene a tutti, a chi lo abita da generazioni come a chi vi è appena arrivato e, in un certo qual modo, anche a chi vi transita, di passaggio.

La cultura invece è in noi, ci segue ovunque andiamo, è l’humus nel quale la società civile vive e si trasforma.

Come in natura la biodiversità è fondamentale forma e forza di vita, così tra gli uomini lo sono le differenze fra le culture, fra le molteplici eredità di ogni tradizione, fondamenta delle nostre ricchezze etiche, morali, scientifiche e spirituali. Poesia, letteratura, musica, teatro e tutte le arti, formano l’identità che ogni popolo condivide e scambia con gli altri.

Cultura è non dimenticare. Non dimenticare la storia, perché gli orrori e gli abomini non si ripetano.  Non dimenticare l’era coloniale, nella quale l’Europa sottomise e saccheggiò l’Africa, ancora fresca nelle sue devastanti conseguenze, per capire le dinamiche migratorie attuali.

Senza consapevoli forme di cultura, sia popolare sia raffinata, non si è liberi. L’ignoranza è il terreno sul quale il fascismo, di ogni genere, avanza arrogante, schiacciando i diritti civili.

Occorre essere consapevoli che, nella odierna mondialità globalizzata, dove tutti o quasi comunicano coi telefonini, la biodiversità culturale umana è a rischio. L’omologazione imposta dal commercio e dai mass media – una “rivoluzione culturale” iniziata da oltre 40 anni, guidata dalle televisioni private alla quale si sono spesso adeguate quelle pubbliche – ha allontanato i ceti popolari dalla partecipazione politica e dall’impegno sociale e civile.

Noi invece sappiamo che l’impegno sociale per l’ambiente, il lavoro, la casa, l’istruzione, la sanità è sempre  una fonte di crescita culturale, di consapevolezza umana.

Partendo da queste necessarie premesse, vediamo come l’amministrazione pubblica possa meglio operare in ambito culturale.

Va innanzitutto chiarito che cultura non è sinonimo di spettacolo. La “spettacolarizzazione” degli eventi è l’indice della deriva commerciale che spesso si è voluta associare alle manifestazioni culturali.

Le risorse pubbliche dovrebbero in primis essere destinate alla crescita, allo sviluppo culturale di tutti, dunque di chi ne ha più bisogno, vedi le periferie/dormitorio, abbandonate dai servizi e prive di attività sociali. Risorse destinate alla formazione, non solo degli interpreti delle arti performative, ma anche per le arti degli spettatori/fruitori, che sono del pari importanti.

L’attuale amministrazione di Bergamo ha fatto sicuramente buone cose in campo culturale, sia per quanto riguarda i musei che per la musica e il teatro, ma ha comunque inseguito in modo predominante l’ottica della spettacolarizzazione degli eventi. Ad esempio le attività dedicate a Donizetti trovano nella “Donizetti Night” una dimensione da fiera paesana, dove nella stessa sera vengono concentrati spettacoli di indubbio valore artistico, che il vasto pubblico interessato non può seguire perché spesso in contemporanea: evidentemente prevale l’intento del grande impatto mediatico, il mostrare lo “spettacolo” in vetrina viene contrabbandato come fare cultura. Nello specifico, ad esempio, un festival di una settimana permetterebbe a tutti di poter seguire i vari spettacoli, potrebbe dare più spazio ad incontri divulgativi, potrebbe coinvolgere anche spazi decentrati della città.

Negli anni ’70, quando scoppiò l’epoca del “decentramento”, vi furono nella nostra città significative esperienze di fervide attività culturali, anche nei quartieri più periferici, col coinvolgimento attivo dei cittadini.  Con tutto il rispetto per l’importanza e la qualità delle blasonate attività centralizzate delle stagioni teatrali e musicali, è di primaria importanza attivare una partecipazione che trovi anche nella cultura, non solo nelle problematiche sociali, i suoi spazi e le sue occasioni. Non soltanto calando programmi preconfezionati dall’alto, ma aprendosi al confronto ed alla sinergia con proposte “dal basso”, offrendo spazi e risorse perché proposte e programmi si possano realizzare.

Tutti gli spazi culturali pubblici devono essere aperti e disponibili.

Attendiamo che il restauro del teatro Donizetti sia terminato, ma ci chiediamo: perché un teatro così importante deve essere luogo solo di spettacolo? al suo interno vi sono spazi grandi e scarsamente utilizzati, perché non farne un luogo aperto ai gruppi ed alle associazioni cittadine per organizzarvi i loro corsi e laboratori, le loro prove? Ovvero renderlo un luogo di cultura sempre vivo, dove il cartellone degli spettacoli non è la sola ragione del suo esistere. Così le biblioteche: perché non aprirle anche di sera, quando le persone che lavorano possono finalmente accedervi? Così i centri socio-culturali, che necessitano di maggiori investimenti e personale.

Le risorse pubbliche vanno impiegate prima di tutto per aumentare e rendere più efficienti i servizi sociali, non per i fuochi d’artificio, gli addobbi natalizi o dilapidando risorse in grandiosi eventi usa e getta!

Non vanno profusi contributi pubblici (50.000 €) ai Maestri del Paesaggio, che invece dovrebbero pagare per occupare Piazza Vecchia a scopi commerciali e che in ogni caso dovrebbero esercitare le loro arti in altri luoghi, meno belli e meno storicamente disegnati, lasciando in pace Città Alta i cui paesaggi non hanno bisogno di simili invasioni. Altrettanto allarmante è il constatare come le ultime elargizioni “culturali” abbiano sempre un occhio di riguardo verso manifestazioni culinarie commerciali, ad es. la sagra del casoncello, che le risorse le trovano ampiamente in se stesse e a cui basterebbe dare il patrocinio, mentre si lasciano le briciole ad altre attività assai più culturalmente meritorie.

La cultura è incontro: approfittiamo della risorsa di avere nel nostro territorio molte comunità proveniente da altri paesi. Va bene che imparino l’italiano e conoscano la nostra cultura, ma è altrettanto giusto che non dimentichino la loro cultura d’origine e le loro tradizioni. I differenti gruppi etnici non devono sentirsi in concorrenza tra di loro, come vorrebbe la propaganda razzista fascio-leghista che alimenta la diffidenza e la guerra tra i poveri, tra “italiani” e immigrati. 

Dunque, se qualcosa meritoriamente è stato fatto in questa direzione, va proseguito, ampliato e sviluppato. Offrire spazi di incontro, luoghi di culto e di preghiera, sale per eventi e spettacoli, è un dovere di chi amministra. La partecipazione democratica esige che le sue scelte  e l’uso delle sue risorse siano fatte e condivise con i cittadini.

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